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- In questo racconto Veronesi sembra meno impegnato a fare lo scrittore e preso soprattutto dai sentimenti. Non ho trovato la ricerca stilistica de "Gli sfiorati", come se le cose raccontate fossero talmente viscerali che l'autore non ha saputo o voluto occuparsi troppo della parte estetica ma solo di quella emozionale.
La profezia che lui fa a se stesso ha un incedere lento ma inesorabile, senza pause per riprendere fiato ma allo stesso tempo non serrato. Una corsa a rallentatore verso il baratro che contiene tutte le tappe obbligate della malattia.
Chi ha conosciuto da vicino il cancro sa.
Rivive l'angoscia, si ritrova nelle previsioni terribili che l'autore fa a se stesso.
Non c'è poesia nella malattia e lo stile asciutto adottato in questo racconto lo fa percepire molto bene. Lo sfinimento di quel tira e molla che sappiamo benissimo portare solo alla morte, che rende insopportabili le persone care trasformate dal dolore, la cui unica volontà e quella di smettere di sentire male.
Questa storia mi ha toccata nel profondo. Mi ha riportato lì, nello stesso ospedale di Pescia citato nel racconto, nel reparto oncologico, con il medico conosciuto perchè collega di quello che aveva in cura mio padre. Mi ha riportato lì dove conosco le infermiere (anime speciali, e non è un semplice modo di dire) e dove ho avuto la gioia/dolore di incontrare persone che hanno lottato fino in fondo senza farcela.
Decisamente non posso essere fredda e obiettiva con questo racconto/sfogo...ma l'ho trovato bellissimo.
sabato 28 settembre 2013
Profezia di Sandro Veronesi
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