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mercoledì 6 gennaio 2021

Il gattopardo di G.Tomasi di Lampedusa 

 

Il Gattopardo
Di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Editore: Feltrinelli Lingua: Italiano | Numero di pagine: 304 | Formato: eBook | In altre lingue: (altre lingue)Isbn-10: 8858808835 | Isbn-13: 9788858808832 | Data di pubblicazione: 10/12/2012

 

 

Musicale e struggente ☆☆☆☆☆

Questo non è un libro, è musica, ho pensato non appena ho letto questa frase:

“Ma il giardino, costretto e macerato fra le sue barriere, da profumi untuosi, carnali e lievemente putridi, come i liquami aromatici distillati dalle reliquie di certe sante; i garofanini sovrapponevano il loro odore pepato a quello protocollare delle rose ed a quello oleoso delle magnolie che si appesantivano negli angoli; e sotto sotto si avvertiva anche il profumo della menta misto a quello infantile della gaggía ed a quello confetturiero della mortella; e da oltre il muro l'agrumeto faceva straripare il sentore di alcova delle prime zagare.”

Proseguono le mie letture di quelli che ormai sono veri e propri classici della letteratura, e ogni volta continuo a stupirmi, chissà perchè, della bellezza di queste opere letterarie... ovviamente avevo visto il famosissimo film di Luchino Visconti tratto dal libro ma, seppur ammaliata da esso, non avevo inteso la portata di questo romanzo. Del film ricordo la bellezza dei costumi, di Claudia Cardinale e di Burt Lancaster ( Alain Delon sinceramente non mi ha mai fatto palpitare...) ma nel libro ho trovato una bellezza musicale nel narrare la storia, un senso di struggente disfacimento che nella pellicola cinematografica a mio avviso non emergono.

Che dire, è un libro che va letto e anche ascoltato, non è male la versione di Ad Alta voce Radio Tre, anche se troppo infarcita di spezzoni musicali, ma se non avete voglia di leggere il testo meglio che nulla anche quella...

Non aggiungerò commenti ulteriori, rimarco soltanto la perfetta esposizione ad opera di Tomasi di Lampedusa, riferita ad un'epoca di passaggio in cui i gattopardi cedono il passo alle iene e dove tutto cambia per rimanere uguale; riporto inoltre l'ultima frase metaforica ed emblematica di tutto il libro:

“Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con l'umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare.
Pochi minuti dopo, quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l'immondezzaio visitava ogni giorno. Durante il volo giú dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell'aria un quadrupede dai lunghi baffi, e l'anteriore destro alzato sembrava imprecare.
Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.”
Giuseppe Tomasi Di Lampedusa. “Il Gattopardo”

mercoledì 23 marzo 2016

Il giorno del giudizio di Salvatore Satta

47d801c85c906082ceb384f09e3c6490_w240_h_mw_mh_cs_cx_cyIl giorno del giudizio
Di Salvatore Satta
Editore: Adelphi (Gli Adelphi, 13)
Lingua: Italiano | Numero di pagine:292
Isbn-10: 8845907627 | Isbn-13: 9788845907623

 

 

La bellezza discreta di un capolavoro

Mi trovo in grande difficoltà a recensire questo libro, mi mancano le parole per esprimere il motivo per cui mi è piaciuto così tanto ed elencarne i pregi. Raramente mi capita ciò, ma in questo caso mi sento di dire che la bellezza di quest’opera è talmente discreta, sommessa, che risulta difficile appigliarsi ad un particolare per parlarne. Sicuramente ho trovato ne “Il giorno del giudizio”l’universalità di certe cose umane che trovo nei grandi autori, quell’universalità di tempo e spazio che solo i capolavori possiedono.

Non ho letto molti autori sardi, mi ero innamorata di Accabadora di Michela Murgia per poi rimanere leggermente delusa da L’incontro, mi è piaciuto Nel tempo di mezzo di Marcello Fois senza però entusiasmarmi più di tanto, la famosissima Grazia Deledda con La danza della collana non mi aveva conquistata; poi è arrivato Salvatore Satta con Il giorno del giudizio ed ho pensato ecco, questo è un capolavoro!

La misura con cui vengono usate le parole per raccontare mi ha sconcertata, nulla di ciò che l’autore ha scritto è in più, niente è superfluo, eppure lo stile non è scarno; il realismo della storia mi ha fatto pensare a Giovanni Verga anche se in Satta ho trovato forse meno coinvolgimento dal punto di vista della narrazione, se nel Verga traspare una profonda pietà per i disgraziati di cui parla, in Satta questa pietà la avverto in modo più sottile, meno evidente, come se lo scrittore fosse solo un testimone di queste vite e le voglia raccontare con distacco, questo tuttavia non significa mancanza di empatia o  freddezza.

All’inizio ho faticato per calarmi nella mentalità sarda narrata nel romanzo, una mentalità che differisce da quella del sud a cui sono già più abituata avendo letto ormai vari libri ambientati in Sicilia o comunque nel meridione, la Sardegna forse è la più isola di tutte, quella che è vissuta veramente fuori dal resto dell’Italia, e questo si avverte dalle storie che da essa provengono.

Vorrei spendere due parole per il fantastico Toni Servillo che ha letto il libro per Ad alta voce, il podcast grazie al quale ho potuto assaporare questa lettura; in parte mi è mancato il testo cartaceo da sottolineare e rimacinare con i miei tempi, tuttavia la voce di questo attore e l’intonazione sono stati un valore aggiunto che non sempre si trova ascoltando un audiolibro. Qualcuno ha polemizzato sulla pronuncia di Nuoro sostenendo che Servillo non ha rispettato l’accento sardo, personalmente credo che sia stata non una svista ma una scelta di dizione esclusivamente musicale, credo che l’accento messo al posto giusto avrebbe reso molto meno fluida la lettura… ma sono particolari poco importanti rispetto alla bellezza del romanzo ed alla storia narrata.

Una lettura è poca, o meglio, nel mio caso un ascolto è poco, e non  escludo che prima o poi ricomincerò  da capo.

Nel frattempo, non riuscendo a dire di più vi lascio qualche citazione.

“il potere, contro le apparenze, si manifesta più col dare che col togliere”

“del resto la differenza tra la regina e la schiava corre sul filo del rasoio”

“La sola superiorità che Don Sebastiano aveva su Donna Vincenza era il potere. Che comunione o non comunione dei beni: queste sono tutte stupidaggini che figurano nei codici. Il potere era il danaro che Don Sebastiano ricavava dalla professione (e perla sua bravura, e per la fiducia che ispirava diventava sempre più cospicuo) e senza quel danaro Donna Vincenza aveva poco da essere intelligente.”

“Era una cosa da nulla, diciamo la verità: che cosa costa chiedere al marito quattro soldi per fare la spesa, che poi si riduceva a un poco di carne, e non tutti i giorni, perché il resto veniva dalla campagna o dai regali dei clienti? Ma quei quattro soldi erano il terribile prezzo che doveva pagare per riconoscere la propria inesistenza, e mai si sarebbe piegata a questo.”

“Neppure il cinematografo riproduce la vita, perché anche se si muovono, non sono che fotografie, l’una dopo l’altra.”

“il costume era che chi ha deve dare, anche per mostrare di avere”

“Figli non ne erano venuti, ma questo non aveva nessuna importanza. Né l’uno né l’altra sentivano il bisogno di continuarsi, perché non avevano il senso della propria incompletezza.”

“Era un uomo buono, e pareva chiedere scusa a ogni morto di doverlo seppellire, ma tant’è lo seppelliva, senza curarsi se fosse povero o ricco, se fosse Fileddu o Don Sebastiano; e questo non gli procurava né odio né amore, ma lo rendeva come il padrone di tutti.”

“La sua parola era mite, dolce, perché sapeva che quegli ignoranti vivevano contenti del loro stato, e non avrebbero mai accettato di rivoltarsi contro Nuoro e le sue leggi. Il suo scopo era soltanto quello di aprire nei loro cuori una speranza; dopo avrebbero odiato Don Sebastiano,Don Serafino, Don Pasqualino, i naturali ostacoli alla speranza: per luicome per loro.”

“Don Ricciotti seguiva col suo termometro infallibile il crescere della speranza nei suoi ascoltatori. Non aveva niente da offrire, ma non c’era bisogno che offrisse nulla. Egli aveva scatenato la loro fantasia, e questo bastava, per il momento. Per indirizzarli verso il suo fine, e cioè abituarli all’idea dell’ingiustizia privata, l’ingiustizia di Don Sebastiano che usurpava la sua casa di Loreneddu, pensò che la via più facile, e la meno pericolosa, era quella di passare per la cosa pubblica. Cosa pubblica e cosa di nessuno sono la stessa cosa

“Gli applausi salirono al cielo. «Sì, perché voi siete stati fino ad oggischiavi, e non ve ne siete accorti. Non è vero che la schiavitù è stataabolita. Chi non possiede beni non è libero, non è nemmeno un uomo, è un bracciante o un giornaliero. Questo è il nome che vi dànno». I contadini di Sèuna ascoltavano quella voce tonante che riempiva tutta la contrada. Essi non sapevano di essere schiavi, e nemmeno che cosa era la schiavitù, perciò restavano attoniti.”

Ridurre la lotta politica a una lotta dell’uomo contro l’uomo, la sola che quei seunesi, e i miseri di tutte le contrade potessero capire.”

“Il cimitero di Nuoro, che aveva le braccia larghe, lo ricevette. Nessuno sapeva da dove veniva, come nessuno sapeva dove andava. E poiché non aveva un nome, non si sapeva neppure se veramente fosse esistito.” (*)

“Egli non si rendeva conto che per tutti giunge il momento in cui si sta al mondo perché c’è posto, e questo momento ora era giunto per lui.”

Passi di: Il giorno del giudizio. “Salvatore Satta”

(*) Questa citazione riferita ad un povero bambino profugo ( a quanto pare i profughi ci sono sempre stati!) mi ha fatto pensare al popolo di Lampedusa, che accoglie vivi e morti, spesso senza nome, che passano da lì come se nemmeno esistessero per la maggior parte del mondo.


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mercoledì 9 marzo 2016

Madame Bovary di Gustave Flaubert

image_bookMadame Bovary
Di Gustave Flaubert
Editore: Newton Compton (I MiniMammut)
Lingua: Italiano | Numero di pagine: 320 | Formato: Copertina rigida
Isbn-10: 8854165212 | Isbn-13: 9788854165212 | Data di pubblicazione: 2014-xx-xx
Traduttore: O. Cecchi

Io conosco questi personaggi, sono vivi e sono tra noi. 

Io Emma l’ho conosciuta. Il mondo è pieno di Emma Bovary, donne che non so se mi fanno più pena, rabbia o tenerezza per la loro incapacità di amare e per la loro ignara cattiveria. Donne che credono di essere interessanti, che si reputano brillanti ed intelligenti, che credono di avere diritto al meglio solo perchè hanno una bella figura, donne che sbattono le ciglia per ottenere regali costosi, donne che a parole dicono di voler bene ma che con i fatti dimostrano il contrario.

Emma Bovary è una donna mediocre ma non sa di esserlo, anela ad una vita sfarzosa e vivace ma si ritrova un marito che nonostante tutto il suo impegno ed amore non potrà mai darle ciò che lei ritiene di meritare. Le sue passioni culturali non sono autentiche, sono superficiali e servono solo a illuderla di essere ingiustamente relegata in un ruolo inferiore alle sue aspettative, non le sono di reale aiuto per un’evoluzione umana o per alleviare la noia di tutti i giorni.

Emma si annoia. Emma soffre di depressione, anche se all’epoca veniva chiamata “problema di nervi” quasi con condiscendenza dagli uomini. Emma trova rifugio nella passione dei suoi due amanti, ma anche questa passione non è amore vero, lei non ha la più pallida idea di cosa significhi amare, la sua graziosa testolina è infarcita di fantasie, d’altronde non c’è amore nemmeno  da parte dei due uomini; questi incontri clandestini, uniche fonti di vitalità per lei, come una sorta di pena di contrappasso per il suo comportamento ignobile verso il marito,  la porteranno alla rovina.

Certo va detto che le donne una volta non avevano molte possibilità rispetto ad un uomo, c’erano delle regole da rispettare e dei ruoli da tenere, ma tutto sommato Emma non ci appare, nonostante lei se ne lamenti, particolarmente prigioniera di convenzioni o di doveri. Come madre è un disastro, completamente disinteressata alla figlia, dopo averla partorita la lascia per mesi ad una balia sudicia e malsana, e quando la porta a casa con sé la ignora delegandone la cura quasi esclusivamente alla domestica.

Ho conosciuto anche Charles Bovary, un uomo buono ma insulso, capace di far danni soltanto con la propria stupida ottusità e capace di essere cieco d’amore per una donna che non ha nulla a che fare con lui e che si approfitta soltanto della sua cieca adorazione.

Probabilmente con un marito così sarei stata disperata anche io, va detto però che Emma non è stata costretta a sposarlo. Pover’uomo, la classica brava persona priva di ogni attrattiva, quanti ne vedo se mi guardo intorno… uomini nemmeno belli, che sono mediocri in tutto, anche nel loro lavoro, la cui unica qualità talvolta è la bontà, qualità che purtroppo se non associata a qualcos’altro risulta di una noia micidiale.

Conosco anche Rodolphe, quanti Rodolphe ci sono! Predatori egoisti, incapaci di un qualsiasi sentimento genuino se non verso il proprio ego.

Ma il mondo è pieno anche di Leon, giovani dal cuore infiammato d’amore che non esitano a fuggire dinanzi alle difficoltà una volta che la vampa della passione si affievolisce, giovani senza le palle detto volgarmente.

Vogliamo poi parlare di Lheureux? L’aguzzino, l’usuraio, il lupo travestito da agnello che mellifluamente porta Emma  e Charles alla rovina economica? Quanti Lheurex ci sono anche adesso, sono nascosti dietro la proposta di comprare a rate, dietro le finanziarie che ti consigliano di spendere senza avere il denaro, i Lheureux lavorano nell’ombra per impossessarsi di tutto. Lheureux portato ai giorni nostri incarna l’economia del consumo, il nostro ingranaggio che crea falsi bisogni per spingere all’acquisto di cose inutili.

Che campione di umanità vario e tipico ci offre Flaubert con questo romanzo! Non avrei mai creduto che potesse piacermi così tanto una storia del genere, ed invece mi sorprendo dinanzi all’ennesima scoperta della bellezza dei classici; mi innamoro di una letteratura che avevo sempre sottovalutato perchè vi trovo molto di più di ciò che in apparenza sembra esserci, è una letteratura che nutre la mente. In questa storia c’è molto di ciò che si trova nella vita, pare impossibile che sia stata scritta nell’800, perchè anche se adesso invece della carrozza si anela al “suv”, siamo gli stessi omiciattoli descritti da Flaubert con grazia e impietoso realismo.

Stavolta non riporto le citazioni volutamente, esistono troppe versioni del romanzo tradotto e non sono riuscita a leggere quella che per epoca storica si avvicina maggiormente all’autore, quindi mi limito ai concetti e tralascio lo stile.


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