martedì 30 dicembre 2014

La signora nel furgone di Alan Bennett

Alan Bennett

La signora nel furgone
Traduzione di Giulia Arborio Mella
Adelphi eBook
2012, pp. 89
isbn: 9788845971945
Letteratura inglese
 
 
 
  Una folatina di vento (2,5 stelle)
 
Questo racconto è stato una folatina di vento nel mio pomeriggio da lettrice, mi aspettavo un venticello impertinente e giocoso e invece è stato un vento calmo che non mi ha spettinato le idee.
La storia c'è, anche se raccontata in modo ironico (ma non troppo) e volutamente quasi asettico, con quel distacco tipicamente "english", una storia di vecchiaia e di degrado simile a tante tranne per il fatto che è capitata ad un personaggio famoso come lo scrittore che qui la racconta. Mi ha ricordato molto "Il diario di Jane Somers" di Doris Lessing, ma solo per la tematica affrontata e non certo per la lunghezza e la profondità con cui l'argomento è stato toccato.
Un libro che si può anche fare a meno di leggere ma che comunque regala qualche piccola riflessione  senza avvilirci troppo e con uno stile sobrio ma leggero.
 
Risvolto di copertina:
Chi accetterebbe mai di ospitare per diciotto anni nel giardino di casa propria una anziana barbona e il furgone debordante di rifiuti che ne costituisce il domicilio? Oltretutto Miss Shepherd non è una vecchina che susciti tenerezza: è grande e grossa, scontrosa, bislacca, poco incline alla gratitudine. Porta una sottana fatta di stracci per la polvere, occhiali da sole verdi e, a mo’ di cappello, un cestino di paglia ottagonale. Si fa scarrozzare per la città su una sedia a rotelle ed emana un insopportabile fetore. Chi mai accetterebbe una così perturbante prossimità? Forse solo Alan Bennett, che in questo libro permeato di sublime, sardonica pietas, e sostenuto da uno sguardo attento al più minuto particolare visivo e olfattivo, ci affida l’irresistibile diario di una lunga, incongrua convivenza. E forse solo Alan Bennett poteva trasformare l’abiezione in un genere di humour personalissimo – e Miss Shepherd in un personaggio memorabile.
 
 

venerdì 19 dicembre 2014

Il cardillo addolorato di Anna Maria Ortese

Anna Maria Ortese

Il cardillo addolorato
Fabula
1993, 6ª ediz., pp. 415
isbn: 9788845909856
Letteratura italiana


Spiazzante  

*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***


 Mi sono accostata a questo libro in seguito all'innamoramento per la Ortese dovuto alla lettura de "Il mare non bagna Napoli" e l'ho fatto mediante la lettura dell'ebook e l'ascoldo del podcast di Radio Tre "Ad alta voce". Di fatto il podcast purtroppo non è completo per cui la parte finale l'ho letta solamente,  ma poco importa.
All'inizio è un romanzo che affatica per la sua prosa estremamente ricca, contorta e antica, ma una volta fattaci l'abitudine si entra nel meccanismo e sembra di leggere un libro del '700, epoca in cui effettivamente la storia si svolge. 
Da principio il racconto appare leggero, soave, frivolo, poi, pian piano ad un inizio piuttosto gaio segue un adombramento sempre maggiore, la commedia si muta in giallo, per finire in un surreale drammatico; dopo i primissimi capitoli si finisce per venire coinvolti, le descrizioni che parevano mero esercizio stilistico si fanno più interessanti, ci rendono partecipi, ci scuotono e ci emozionano. Purtroppo però, arrivata alla fine,  non sono rimasta entusiasta al cento per cento del libro, questo giocare dell'autrice con la verità finisce per diventare esasperante e porta il lettore quasi a pensare che la Ortese stessa si sia persa, si sia infilata in un vicolo cieco dal quale non sa più come uscire. Da un certo punto in poi ho continuato a leggere quasi per inerzia, come se questa lettura fosse solo musica da ascoltare per il puro piacere del suono nel cervello delle parole messe in fila. De "Il cardillo addolorato" ho apprezzato la forma ma per il contenuto ho provato quasi avversione, troppo lontano dal raziocinio, troppo magico.
Quella storia che ad un certo punto pensi di poter comprendere cambia continuamente, più persone la raccontano e più si vengono a sapere cose che coincidono solo in parte, è una vicenda estremamente complicata che non ha soluzione.
Mi sono chiesta perchè l'autrice abbia scritto un romanzo del genere, mi sono domandata se si fosse divertita alle nostre spalle o se semplicemente si fosse perduta tra le sue parole...né l'una né l'altra cosa credo, ed ho trovato un articolo che forse può essere d'aiuto a svelare il mistero:

Non so fino a che punto sia lecito inventare qualcosa: una citta' , delle persone, delle ombre. Le cose devono essere tutte reali sembra. Pero' com' e' difficile trattare del reale! In parte perche' nessuna cosa, a pensarci, e' veramente reale; in parte perche' a lungo andare, il reale si fa noioso, quasi terrificante. L' invenzione, al contrario, e' lieta e rassicurante, non per niente i libri dedicati al riposo sono fondati sull' invenzione. Questo, e' un libro adatto al riposo? Forse si' . Quando cominciai a scriverlo fu appunto per riposarmi dal peso del reale con un "onesto divertimento", come dicono i moralisti. Prima precauzione: eliminare questo secolo e quasi tutto il precedente. Seconda: non esigere da nessun personaggio certificati che ne comprovassero la realta' , secondo le esigenze filosofiche ancora imperanti. Da nessuna parte dovevano poi sentirsi rombi di motori, stridio di macchine, ronzii di apparecchi elettrici ne' , soprattutto, vedersi folle umane, maree di nuche come onde di un mare pesante e un po' cupo, e percepire l' ansare dei petti intorno agli stadi, in piazze divenute invisibili per la presenza di milioni di spettatori. No; le piazze dovevano essere vuote, le strade (antiche) assolutamente libere; i cieli percorsi solo da nuvole bianche, risplendenti per le note luci universali (sole, e cosi' via). La critica al cosidetto Palazzo poteva anche esserci, ma con l' avvertimento che si trattava del Palazzo degli Spiriti. Spiriti, secondo una mia idea (forse da buttare) siamo tutti, mentre il Governatore del Palazzo e' solo il Tempo. Come si vede, una rappresentazione del reale alquanto discosta dai canoni estetici e storici ancora vigenti. E come (domanda) sarei pervenuta ad accertarmi che il reale non e' veramente reale? Risposta: osservando la inconsistenza della materia in cui tale reale e' ritagliato, e con la inconsistenza (si faccia caso alla incredibile struttura di un atomo, organizzata sul vuoto, e tenuta ferma da pura energia) la rapinosa deperibilita' del materiale in cui le forme (delle cose) vengono via via rappresentate. Si pensi un momento al Cenacolo di Leonardo (adesso quasi sparito, come vera creatura vivente): cosa resse, e cosa, ancora, ne raccomanda la meraviglia, se non la memoria? Ed e' , la memoria, soggetta a peso e misura e analisi di laboratorio? La Memoria? Solo una serie, o sistema di leggi formidabili, presenti . non sai ne' saprai mai come, ne' in quale punto dell' infinita materia. Ma non materia! Ecco la mia fede nella Memoria, la mia certezza della non materialita' del mondo, anzi reale "immaterialita' ", e quindi nella sovranita' della Memoria, come Legge creativa precipitata e sempre sommersa . ma non perduta . nel mondo della Materia, come il divino Cenacolo fu impresso . e apparve un giorno . su un muro, tramite pochi acidi o sostanze chimiche. Cosi' l' umanita' , o l' idea . talora celeste . di essa . e' passata nella Materia! Ma in nessun luogo, ormai, puoi trovarne traccia, se non nella memoria che deve reinventarla; e in modo mai fedele (perche' tale realta' era gia' per suo conto volatile); e solo puoi trovarne rammemorando, o risvegliando, l' emozione dell' ineffabile (leggi: bellezza paura) da cui tale realta' prese l' avvio. Ritrova in te emozione, incanto, paura: tale belta' la rivedrai in sogno . o nel sogno ad occhi aperti, almeno, che e' il vivere. L' umanita' , nella memoria che ne portiamo, non fu tutta nella bellezza ideata dalla pittura, dalla poesia, e anche per ultimo, dalla musica. Perche' , osservando oggi, con minore esaltazione, cio' che ne resta in musei, biblioteche, teatri; cercando cio' che si presenta . e resta a noi . oltre l' alone abbagliante dell' arte: ne riceviamo un' immagine che non consente illusioni sulla bellezza reale ., secondo quanto questo termine puo' racchiudere di verita' , di infinite generazioni precedenti quelle attuali. Sappiamo dunque che quella umanita' non fu tutta ne' molto umana ne' bella; lo fu, anzi, solo in minima parte, per quanto riguardava i privilegiati di quel tempo e di tutti i tempi. Ma non restano molti segni di una gia' cosi' improbabile bellezza e dignita' . in pietre, oggetti . sfuggiti ancora oggi al diluvio del tempo. Vi era bruttezza, deformita' , dissennatezza dovunque non fossero i Privilegiati . principi e signori vari. Il dolore . quando si presentava, per malattie che erano epidemie o per azioni di forza . era terribile, e senza ricchezza non vi era soccorso, non vi era aiuto, ne' consolazione possibile. La mostruosita' era diffusa (si vedano i dipinti del Goya, e altri di scuola nordica). Il brutto, il povero, il distorto, il fuori mondo, il sinistro spuntavano da ogni antro, come oggi, dai settimanali e dal piccolo schermo, splendono le maschere dei bellissimi. Non vi era nulla per il povero, o il non fortunato, il non prescelto dagli Dei. Ed era grazia, per questi, la sola misericordia di preti o monache o anche di signori toccati da un raggio di sapienza e di compassione. In tutto il mondo allora abitato, continenti, isole,  citta' enormi o dimenticati villaggi, era cosi' : un po' di luce e qualche gioia di tanto in tanto: tenebre, umiliazione, mortificazione, paura come regola. La Napoli di cui i paesaggisti tedeschi e inglesi ci hanno lasciato immagini divine, era bella solo per le spiagge, i vigneti, le nubi, i piccoli giardini qua e la' . Ma nelle chiese, oscure e oppressive, era la vera memoria del suo vivere: affreschi riproducenti il dolore, la difformita' , il sangue, la stortura, i grandi privilegi e gli infiniti orrori del tempo. La' , in quelle chiese, chi entrava nella citta' di Napoli, ed entri ancora oggi, e voglia rivederne la "realta' ", di colori e passione dolorante, estasi dilaniata dalle frecce avvelenate del vivere umano, quella realta' . in qualche modo . puo' ritrovarla. Negli anni Trenta . i soli anni che io trascorsi a Napoli . proveniente da un mondo aperto luminoso e quieto . un luogo per me senza memoria, quindi sereno . la Libia . l' onda nera del passato storico era ancora . lava vulcanica solidificata . era ancora la violenta e triste Napoli del Passato. C' erano i Palazzi, e le Piazze e gli spazi incantevoli, giardini e fontane settecentesche, ma c' erano soprattutto . su per le colline e dovunque . le Case Dirute, cio' che io vidi sempre come le Case Dirute . le abitazioni dei poveri e dei Servi. Poveri e Servi, di cui il passato napoletano ancora traboccava, ancora li vedevi: ma i poveri non avevano voce ne' gesti, e i Servi erano senza livrea. Ne ho gia' parlato, in altre pagine, e quindi non mi ripetero' . ma un' osservazione e' ancora possibile: in quelle Case, sempre alte e nere, con infiniti scalini, situate fra vicoli e angiporti e scalette fetide, non la voce . se non di quando in quando, roca e strana . ma il silenzio regnava sovrano. Cessata l' animazione del giorno, col buio una realta' diversa . affidata alla sola Memoria . prendeva il posto degli abitanti. Ed era una realta' di ombre. Quegli uomini e donne dei secoli scorsi erano veramente spariti, come disegni della materia, ma l' energia e il patimento di allora, o il solo lamento . per ferite o malattie o disperazioni senza conforto . la stanchezza, gli obblighi, l' eterno servire e l' eterno raccomandarsi al piu' forte, o almeno a Dio, ancora duravano. E nella notte (di quelle tristi strade e case) sentivo ancora, e di continuo, i passi della gente scomparsa, gli uomini, le donne, i bambini delle Case Dirute; coloro che aspettarono senza avere, chiesero senza risposta, e si affidarono a Dio, alla Vergine, agli Angeli, e, infine all' onda della morte. I cimiteri di Napoli furono, a lungo, dei soli ossari, furono discariche del povero. Meglio delle grotte e dei cunicoli di cui ci hanno parlato tanti scrittori, ma non meno terribili: lande solitarie sparse di qualche lumino, nei giorni di festa, dove i parenti . anche remoti . dei Morti si recavano per fare compagnia, e spesso mangiare qualcosa portato da casa. Questa era la condizione . tra essere e nulla . di Napoli, e sembrava di capire come, non avendo scelta, i morti, dai vari luoghi di raccolta, come ombre, appena possibile, rifluissero nelle case di un tempo, le vecchie case di Quartieri, del Porto, e di altri rioni. Quelle che io vidi sempre come: le Case Dirute. E mi domandavo di continuo, quando vivevo a Napoli nei tranquilli anni Trenta: ma servi e poveri di ieri non sono davvero ancora qui, tutti? O e' una illusione? E sono andati via definitivamente, e non piu' ritornati? Ed e' possibile che non vi sia stata per essi . solitudine e malattia, in eta' avanzata, o  ancora molto giovane . alcuna risposta e consolazione? Nessuno ha portato loro sollievo, compagnia, qualche gioia, una carezza, a sollevare l' atroce sconforto della loro condizione? Quei poveri e quei servi, dalla mia memoria, non sparivano, come non sparivano, quando ogni tanto li pensavo, i signori, spesso molto caritatevoli e buoni . del loro tempo. E pensavo di continuo: oh, avessero potuto rimediare . quei grandi . al male dei piccoli . si potesse ancora dare rimedio al dolore!
E cosi' , poco a poco, sorgeva in me l' idea di un qualche soccorso, dall' esterno, da isole e paesi lontani, di grandi della terra: che scendevano a Napoli, da qualche nuvola d' oro apparsa all' improvviso; apparivano in cima alle strade, alle rampe, alle scale, alle scalette della Citta' Diruta (come io la vedevo allora), e li aiutavano; ci aiutavano. (Si' , nel numero, qualche volta mi trovavo anche io, abitante al margine delle Case Dirute, dove cominciava il porto, e avevano inizio le strade d' acqua, l' ultimo mare). In questo modo, Memoria e tristezza, e speranza e rivolte dell' animo contro i secoli del dolore, possono dare l' avvio a un libro . organizzare, nel pensiero, un' opera di pace, ma dove la consolazione non si riveli poi cosi' vera, ne' i frutti della gioia siano colti facilmente da altri. E si vede che il dolore . per la Memoria . e' una eredita' , passa da un uomo all' altro, e cosi' l' umanita' non e' di tutti, al principio, ma poi lo diventa, o puo' diventarlo. E cos' e' "umanita' ", se non memoria dei giusti comportamenti? E io vedevo che, nella scelta dei comportamenti, si puo' diventare piu' giusti, e sfuggire al potere delle forme . o della Forma . del vivere, dato come "destino". C' era stata una persona, a Napoli, una donna di cui intesi parlare, piu' che altro, per la sua severita' (non trovo altra parola) e per il distacco dai canoni fissi dell' avere e potere. Era di buona famiglia, quasi ricca, e famiglia e ricchezza le aveva lasciate alle spalle. Viveva di lavoro. Era un' eccellente artigiana. Era stata anche ed era ancora, per chi la conobbe, molto bella e altera. Era stata sposata a sedici anni, come era d' uso allora, ed era rimasta vedova molto giovane, con una figlia piccola. Ma benche' richiesta, non aveva piu' voluto sposarsi. Aveva un silenzioso disprezzo della felicita' . Non amava l' amore, e ne stava lontano, e con l' amore temeva ogni forma di tenerezza. Nessun particolare sentimento per la natura e per la gioia. Credeva soltanto nei Morti sotto la giustizia e la poverta' , e con quelli era in misterioso rapporto di preghiera e consolazione. Sempre li vedeva in atto di soccorrerla nelle paure e nella necessita' , e sembra che ne abbia avuto concreta esperienza. La sua casa di origine era stata a Santa Lucia, al Pallonetto (cosi' si diceva, per riferirsi, credo a un piazzale). La sua casa di donna maritata, e poi vedova, era invece una casupola, o quasi, a Posillipo, su una collina cui si accedeva da infiniti gradini. Ma la sua vera casa era quella di una ricca famiglia della Lucania, meta' nobile, meta' borghese, dove la vedova era molto amata e rispettata. Per la sua piccola bambina, e per sua madre, quella era una casa fatata, era la vera patria. Ma un giorno, tutto a un tratto, per uno scatto d' impazienza della padrona . scatto ingiusto, che non sopporto' . la donna lascio' la casa e non vi fece piu' ritorno. Per quante preghiere le fossero poi rivolte, non torno' indietro. E tolse a sua figlia . che era piccolissima e debole . l' unico paradiso che la sorte, di orfana, le aveva concesso. Tante storie sono cosi' , e non ci sarebbe in questa molto di eccezionale, se non che la donna aveva inteso, lasciando quella casa, lasciare anche, alle proprie spalle, una nuova occasione di risposarsi. Un uomo di grande condizione, e di aspetto bello e sensibile . uno straniero che frequentava quella casa . le aveva fatto conoscere, con la sua ammirazione, l' intenzione . se lei fosse stata d' accordo . di sposarla. La vedova non aveva dato alcuna risposta; ma poi, uno o due giorni dopo, aveva lasciato la casa per non farvi piu' ritorno. Si era detto in giro che aveva un figlio segreto, deforme, che non intendeva abbandonare, ma di cui non voleva parlare. Si dissero tante cose. Perfino, che era una strega. Era, invece, una donna di profondi sentimenti religiosi, benche' non frequentasse nessuna chiesa. Faceva del bene a tutti, ma in segreto, perche' non si puo' dire che amasse la gente, e in genere il mondo, anzi stimava bene starsene appartata. Viveva di lavoro, era sarta, senza mai un debito, e solo il lavoro era il suo regno. Di lei, che era nata durante il regno borbonico ed era borbonica lei stessa (cioe' priva di spirito critico, di cultura, come di qualsiasi moto di insofferenza . o impazienza . se non al costume di allora, che voleva la donna sposa e madre, per sempre a casa), non si pote' sapere piu' nulla, se non dalla sua padrona, che ne fece, anni dopo, grandi elogi, rammaricandosi soltanto per il suo carattere cosi' indipendente e chiuso. Disse . quella signora . che lo straniero che voleva sposarla, era tornato in patria (alta Europa, Europa dove la luce e' piu' breve e fredda), senza mai rassegnarsi, chiedendo sempre notizie di quella sarta, finche' non se n' era saputo piu' nulla. Invece della vedova, almeno per la voce di un altro, e precisamente della sua bambina di allora, quando divenne adulta, fu detto, che benche' avesse lavorato e risparmiato tutta la vita, morendo, non aveva lasciato nulla. Solo una scatola di metallo, in cui la figlia, aprendola per caso un giorno, aveva trovato una penna di colombo, che doveva essere stata rossa, molto deteriorata. E si era ricordata del nome: Rubino, che la madre, da bambina, aveva dato a un colombo molto amato. Cosi' , una volta per sempre, fu chiaro che la orgogliosa e dura ragazza non era stata senza cuore, aveva veramente amato qualcuno, e questo qualcuno era un colombo di piume color corallo, che era stato per anni il preferito, tra altri, anche nella povera casa di Posillipo. Ed eravamo gia' , quando seppi queste cose, negli anni Trenta; e se avessi voluto avere altre tracce di quella donna cosi' straniera a Napoli per i suoi silenzi e i suoi costumi, la sua liberta' e il suo amore, da ragazza, per un colombo di nome Rubino certamente avrei fantasticato. Ma la storia di un silenzio, un'  indipendenza, un amore segreto per un piccolo della Natura . e anche altre forme della minorita' (umana) allora quasi stregata ., di un rifiuto tanto immediato alla fortuna e alla giovinezza del Grande Nord mi rimasero a lungo nella mente, come un problema, un enigma, qualcosa che mi persuadeva, ma scontentandomi, perche' non vedevo mai l' intero tracciato della storia, o destino, o scelta fatta dalla donna. Tutti fatti che non legavano tra loro, se non cercando di ricostruirle un passato per quanto possibile in linea col suo presente . nel quale fosse accaduto qualcosa, di minimo, forse, e anche insignificante per il mondo, che aveva dettato le sue scelte di giovinezza. Ma il passato era stato solo una breve vita felice nella casa del padre, una vita piu' breve e infelice col marito, un artista gentile ma dissennato, e poi la vita con la padrona, nella splendida Chiaia, e il ritorno di ogni sera a Posillipo, lungo una scalinatella gia' sparita, con la figlia piccola per mano. E ritornavano i pensieri sul fantasticato bimbo deforme nascosto nella casa, sul principe (lo straniero era un principe), sulla loro separazione taciturna e improvvisa, ed ecco, dopo tanti anni, la penna di seta color rubino, di un bimbo della Natura chiamato Rubino... e poi scomparso con tutta quella Napoli ancora verde (dalla Riviera a Posillipo), ancora soprannaturale, come la videro paesaggisti stranieri, inglesi e tedeschi, cosi' lontani dalle fosche rappresentazioni delle chiese napoletane. Vidi, o rividi, tutto questo; e senza vedere intanto nulla di preciso, solo cose e fatti molto separati qua e la' e nel tempo, nelle case; solo sentirne parlare negli scarni racconti di domestici e di chi qualcosa ricordava intravidi questa pieta' , e per essere tanto strana e fuori della norma, non potevo darle che una ragione, una motivazione, in cio' che la donna della Scalinatella aveva sempre rifiutato di ammettere: essere una pieta' , piu' che per una specie, per la Natura tutta, e i suoi confusi fanciulli: una pieta' dolorosa, simile a un giuramento, di servizio per il piu' debole, il piu' rifiutato il piu' inaccettabile dal mondo; forse, anche piccoli deformi a meta' tra una specie e l' altra, o idioti, o maledetti dall' indifferenza umana: ma che lei, nell' infanzia o oltre, aveva onorato come angeli. Una religione, dunque. Ma non ortodossa, non di chiese riconosciute: una religione dei sogni (e delle voci) dell' alba. E sentii cosi' , per la prima volta, la voce del Cardillo, invito e menzogna per tutti, meno che per lei. Lo aveva ascoltato, tutta la vita, aveva ascoltato il suo canto e obbedito al suo comando: piu' in la' degli uomini, piu' su del cielo, piu' nel centro del cuore, piu' nel segreto della gioia. Dove per la Gioia si serve; per la Gioia . in suo onore . si muore. "
Ortese Anna Maria

(30 maggio 1993) - Corriere della Sera

Link all'Audiolibro che ho ascoltato su "Ad Alta Voce" Radio3






giovedì 11 dicembre 2014

Anna Karenina di Lev Tolstoj

TITOLO: Anna Karenina
AUTORE: Lev Tolstoj ANNO: 1877 
TRADUTTORE: Maria Bianca Luporini
DIRITTI D’AUTORE: No LICENZA: Libera
DATA PUBBLICAZIONE: 12 giugno 2014 Edizione digitale corretta e ottimizzata a cura di eBooksOpen www.ebooksopen.org

Ventun giorni in simbiosi con Tolstoj

Non avevo mai letto un libro così lungo, e sarà impossibile essere breve in questo commento.
Devo dire che ho affrontato questa lettura quasi come un lavoro, mille pagine erano spaventosamente tante, troppe, così ho letto in ogni momento possibile, come una forsennata, aiutandomi con l'audiolibro di Liber Liber che mi permetteva di proseguire con la storia anche quando le mani erano occupate. E' stata davvero un'immersione totale, una simbiosi, e lo è stata soprattutto perchè la storia mi ha subito appassionata, i contenuti e i personaggi si sono rivelati immediatamente nella loro complessità, universalità di tempo e di luogo. Insomma, mi aspettavo un romanzo d'amore ed ho trovato un romanzo di vita. 
La prima cosa che mi viene in mente giunta alla fine di questa lettura è che Tolstoj ha creato una storia senza cadute, tutto il libro, che è composto da oltre mille pagine, è di altissimo livello, non ci sono parti morte o meno dettagliate, dall'inizio alla fine c'è una cura del particolare, un'attenzione alle parole raramente riscontrabili. Finalmente ho capito perchè tutti parlano di quest'opera come di un capolavoro, perchè lo è.
La seconda cosa che mi viene in mente invece è chiedere perché sia stato dato un titolo del genere; Anna Karenina non è che una dei protagonisti di questo romanzo, e per di più ho avuto la sensazione che sia stato dato più spazio a Konstantin Levin piuttosto che a lei.  Ho letto in alcune recensioni che molto probabilmente l'autore stesso  si riconosceva in questa figura maschile a cui ha assegnato il ruolo della brava persona che vive razionalmente ma è tormentata da dubbi di natura filosofico-religiosa, beh, non stento a crederci, mi pare che in questo personaggio si sia impegnato particolarmente senza nulla togliere alla completezza degli altri. Va detto comunque che ad ogni individuo  apparso nel corso della lettura sono state fornite una cura ed una minuzia amorevole, Tolstoj non solo ha narrato una vicenda, ha analizzato ed espresso i pensieri intimi di tutti coloro che della vicenda hanno fatto parte, immedesimendosi in ciascuno in modo sorprendente. Ogni personaggio ha un suo carattere, delle peculiarità ben distinte e spesso antitetiche rispetto agli altri, ognuno ha vizi e virtù che vengono esposte con compassione dall'autore, che con la sua capacità analitica ed empatica fuori del comune, ci ha fatto entrare nella testa di tutti, effettuando un lavoro da psicologo oltre che da letterato.
La terza cosa che vorrei dire a proposito di questo libro è che mi è venuto naturale paragonarlo ad una "telenovela".  Ora non voglio che i cultori di Tolstoj inorridiscano, ma se ben ci pensate la struttura del romanzo, il fatto che sia uscito a puntate su un giornale fanno pensare molto ai nostri sceneggiati e non capisco come un'opera così complessa e lunga abbia potuto essere compressa, più di una volta nella storia del cinema, in un film di un'ora e mezza circa. Ovviamente nell'800 i mezzi erano altri, non c'era la tv, e ovviamente qui si tratta di un'opera di altissima qualità, cosa che di rado si riscontra nei prodotti televisivi, ma il meccanismo ipnotico è lo stesso: vite che si intrecciano in brevi capitoli-puntate, protagonisti e coprotagonisti che si alternano a mostrarci passioni, pensieri, azioni, che spaziano dai sentimenti personali e universali fino alla più semplice vita domestica.
La quarta cosa che voglio dire è ciò che ho pensato a proposito dell'amore tra  Anna e Vronsky, non è stato l'adulterio a rendere dramatiche le loro vite, che se gestito con grazia, superficialità e riserbo sarebbe stato ben tollerato dalla società aristocratica del tempo, bensì l'amore, divertisri era permesso se fatto con discrezione ma la passione cieca non eran contemplata.
In "Anna Karenina" c'è di tutto. C'è l'analisi della società che, anche se calata in un preciso momento storico ed in una precisa nazione, riporta delle verità assolute sull'animo e sull'agire umano, sempre valide in ogni tempo e in ogni luogo. C'è una profonda analisi dei sentimenti, delle passioni, delle miserie umane, dell'amore, di come ogni moto dell'anima sia vissuto in modo così diverso da una persona all'altra. C'è la morte, c'è la politica, la religione, la filosofia, c'è la vita nella sua interezza, c'è soprattutto la possibilità offerta al lettore di poter macinare e rielaborare tutto questo materiale umano per trarne delle conclusioni seppur temporanee, per farsi un'idea egli stesso di cosa può far suo e cosa no, per rispecchiarsi in un personaggio o meno anche solo per qualche piccolo particolare.
Veniamo adesso alla questione della traduzione che spesso mi preoccupa. La versione che ho letto ed ascoltato è estratta dal volume "LEV TOLSTOJ TUTTI I ROMANZI" - SANSONI EDITORE - A CURA DI MARIA BIANCA LUPORINI - 1967. Ovviamente mi sono divertita a cercare altre versioni per poter capire come al solito quanto sia il potere del traduttore nella resa di un libro, considerando anche che si tratta di un romanzo dell'800 l'uso di un linguaggio eccessivamente moderno non mi sarebbe piaciuto, e quest'edizione della mediateca gratuita Liber Liber mi è parsa un ragionevole compromesso. Se vi interessa fare un raffronto fra le più importanti traduzioni di "Anna Karenina" potete leggere qui di seguito questi incipit che ho trovato sull'utilissima Wikiquote se invece non vi interessa saltate a piè pari direttamente alle citazioni.

Traduttore Ossip Felyne 

Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.
In casa Oblonski tutto era sossopra. La moglie aveva scoperto una relazione amorosa del marito con una francese che era stata istitutrice in casa loro, qualche tempo prima, e gli aveva dichiarato che non poteva più vivere con lui sotto lo stesso tetto. Questa situazione durava da due giorni e si faceva sentire in modo penoso, tanto dai due coniugi quanto dagli altri membri della famiglia e sinanche dal personale di servizio. Tutti provavano l'impressione che la loro vita in comune non avesse più senso e che l'unione della famiglia e dei familiari di casa Oblonski fosse più effimera di quella delle persone che si trovavano casualmente riunite in qualsiasi albergo. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito era sempre fuori; i bambini correvano per la casa abbandonati a se stessi; l'istitutrice inglese aveva litigato con la governante e aveva scritto a un'amica pregandole di trovarle un altro posto; la sguattera e il cocchiere si erano licenziati.
[Lev Nikolaevič Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Ossip Felyne, Biblioteca Moderna Mondadori, 1960.]

Traduttore Leone Ginzburg

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Tutto era sossopra in casa degli Oblònskije. La moglie era venuta a sapere che il marito aveva avuto un legame con una governante francese ch'era stata in casa loro, e aveva dichiarato al marito che non poteva vivere con lui nella stessa casa. Questa situazione durava già da tre giorni ed era sentita tormentosamente e dagli stessi coniugi, e da tutti i membri della famiglia, e dai familiari. Tutti i membri della famiglia e i familiari sentivano che la loro coabitazione non aveva senso e che le persone incontratesi per caso in una locanda erano più unite fra loro che non essi, membri della famiglia e familiari degli Oblònskije. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito non era in casa da tre giorni; i bimbi correvano per tutta la casa come sperduti; la signorina inglese s'era bisticciata con la dispensiera e aveva scritto un biglietto a una amica, chiedendole di cercarle un nuovo posto; il cuoco se n'era andato via già il giorno prima durante il pranzo; la cuoca della servitù e il cocchiere s'erano licenziati.
[Lev Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Leone Ginzburg, Einaudi, 1993.]Traduttore Maria Bianca Luporini

Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.
Tutto era sottosopra in casa Oblonskij. La moglie era venuta a sapere che il marito aveva una relazione con la governante francese che era stata presso di loro, e aveva dichiarato al marito di non poter più vivere con lui nella stessa casa. Questa situazione durava già da tre giorni ed era sentita tormentosamente dagli stessi coniugi e da tutti i membri della famiglia e dai domestici. Tutti i membri della famiglia e i domestici sentivano che non c'era senso nella loro convivenza, e che della gente incontratasi per caso in una qualsiasi locanda sarebbe stata più legata fra di sé che non loro, membri della famiglia e domestici degli Oblonskij. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito era già il terzo giorno che non rincasava. I bambini correvano per la casa abbandonati a loro stessi; la governante inglese si era bisticciata con la dispensiera e aveva scritto un biglietto ad un'amica chiedendo che le cercasse un posto; il cuoco se n'era già andato via il giorno prima durante il pranzo; sguattera e cocchiere avevano chiesto di essere  liquidati.
[Lev Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Maria Bianca Luporini, in Tolstoj – Tutti i romanzi, Sansoni editore, 1967.]

Traduttore Enrico Mercatali

Le famiglie felici si rassomiglian tutte. Ogni famiglia infelice, invece, lo è a modo suo.
Tutto era sossopra nella famiglia Oblonskï. La principessa, avendo saputo che suo marito aveva una relazione con la governante francese che era stata in casa loro, aveva dichiarato a suo marito che ella non poteva più vivere sotto lo stesso tetto con lui. Questa situazione, che durava già da tre giorni, era penosa per gli sposi, nonché per tutti i membri della famiglia e per il personale della casa.
Tutti, parenti e domestici, sentivano che la loro convivenza non aveva più ragion d'essere, e come gli stranieri che il caso fa incontrare in un albergo siano più legati fra loro che non potessero esserlo, adesso, i membri della famiglia Oblonskï.
La moglie non usciva dalla sua camera; il marito era assente da tre giorni; i figliuoli gironzolavano per tutta la casa come dei derelitti. La signorina inglese era venuta a bega con la donna di servizio e aveva scritto ad un'amica di trovarle un nuovo posto; il cuoco, il giorno prima, se n'era andato all'ora del pranzo; la cuoca e il cocchiere reclamavano il fatto loro.

[Lev Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Enrico Mercatali, Sonzogno, 1957.]


Continuare ad analizzare quest'opera in modo più particolareggiato, sviscerando ogni questione ed esprimendo il mio parere su ogni parte che mi ha colpita, comporterebbe uno sforzo eccessivo e forse inutile, nonché un commento chilometrico (e già ci siamo vicini) che quasi sicuramente nessuno leggerebbe vanificando così il mio desiderio di condivisione. Detto questo passo alle CITAZIONI,  che nemmeno a dirlo sono tantissime, ed ho per questo deciso di dividerle per argomento e non in ordine di lettura, quando possibile farò menzione del personaggio a cui sono riferite.

Società , Politica e Religione

“E per lui, che viveva nella società più in vista, avere delle opinioni, oltre al bisogno di una certa attività di pensiero che normalmente si sviluppa negli anni della maturità, era così indispensabile come avere un cappello. ” 

“i dispensatori di beni terreni sotto forma di posti, appalti, concessioni e cose simili, erano tutti amici suoi e non avrebbero mai lasciato fuori uno dei loro”
(Stepan Arkad’ic) 

“aspettavano solo che l’opinione pubblica mutasse per piombarle addosso con tutto il peso del loro disprezzo. Preparavano già il fango da scagliare su di lei, non appena fosse giunto il momento”
 (riferito ad Anna Karenina)

“Io ignoro tutto ciò finché il mondo lo ignora, finché il mio nome non è svergognato”
(Karenin)

“Le discussioni durarono a lungo e finirono senza concludere nulla”

“Ma c’era un’altra categoria, quella delle persone alla moda, alla quale tutti loro appartenevano, e nella quale bisognava essere soprattutto belli, eleganti, spenderecci, arditi, allegri e capaci di abbandonarsi a qualsiasi passione senza arrossire e ridendosi di tutto.”

“Poi, bisogna mantenere le relazioni. È un dovere morale, in un certo modo. E poi, a dire il vero, c’è l’interesse personale.”

“Io considero che lo stipendio sia il pagamento di una merce e che esso debba sottostare alla legge della domanda e dell’offerta. Se invece il criterio dello stipendio si allontana da questa legge, come, ad esempio, nel caso di due ingegneri laureati dallo stesso istituto, tutti e due con le stesse nozioni e capacità, uno riceve quattromila rubli e l’altro si accontenta di duemila; o di direttori di banca che assumono con uno stipendio enorme degli studentelli di legge, degli ussari che non hanno nessuna nozione particolare, allora concludo che lo stipendio si fissa non secondo la legge della domanda e dell’offerta, ma direttamente, per compiacere le persone. E qui c’è un abuso, grave per se stesso e che si ripercuote dannosamente sul servizio dello stato. ”

“Egli vedeva che la questione slava era diventata una di quelle questioni di moda che sempre, sostituendosi le une alle altre, servono alla società come materia d’interesse; vedeva che c’erano molte persone, che avevano scopi interessati, ambiziosi, che si occupavano di quella impresa. Riconosceva che i giornali stampavano molte cose inutili ed esagerate col solo scopo di richiamare l’attenzione e di gridare più degli altri. Vedeva che, in quella generale infatuazione della società, erano usciti fuori e gridavano più forte degli altri tutti i falliti e gli offesi; comandanti in capo senza eserciti, ministri senza ministero, giornalisti senza giornali, capipartito senza partito.”(Sergej Ivanovic)

“Se la dimostrazione principale della Divinità era la Sua rivelazione di quello che è bene, perché allora questa rivelazione si limitava alla sola Chiesa cristiana? Che rapporti avevano con questa rivelazione le credenze dei buddisti, dei maomettani, che anch’essi professavano e operavano il bene?”(Levin)
Pensando e filosofando
 
“Tu sei tutto d’un pezzo e vorresti che la vita fosse fatta di avvenimenti integrali, e questo non succede. <...> Tutta la varietà, la delizia, la bellezza della vita son fatte d’ombre e di luci.” 
(Stepan Arkad’ic a Konstantin Levin)

“Soltanto falsità, soltanto ambizione, ecco tutto quello che c’è nell’animo suo – pensava – e le idee di ordine superiore, l’amore per la cultura, la religione, tutte queste cose non sono altro che mezzi per affermarsi”.
(Anna a proposito di Karenin)

“Osservando Varen’ka aveva compreso che bastava solo dimenticare se stessi e amare gli altri per essere calmi, felici e sereni.”

“Per parer migliori agli occhi della gente, a se stessi, per ingannare tutti. No, adesso non mi sottometterò più a questo. Esser cattiva, sia pure, ma almeno bugiarda, falsa, no!”

“Non rinnegò tutto quello che aveva ultimamente conosciuto, ma capì che ingannava se stessa, illudendosi di poter essere quello che voleva essere. Come se fosse tornata in sé, sentì tutta la difficoltà di mantenersi, senza finzione e senza vanteria, all’altezza alla quale aspirava; inoltre sentì tutto il peso di quel mondo di dolore, di malattie, di moribondi in cui viveva; le parvero tormentosi gli sforzi che faceva su di sé per amare tutto questo, e desiderò di andare al più presto via”
(Kitty)

“Aveva sentito spesso la parola tecnica, e decisamente non capiva che cosa si intendesse con questa parola. Egli sapeva che con questa parola si intendeva la facoltà meccanica di dipingere e di disegnare, del tutto indipendente dal contenuto.”

“ il più esperto e abile maestro della tecnica, con la sola facoltà meccanica, non può dipingere nulla se non gli si dischiudono prima le possibilità del contenuto”
(Vronsky a proposito della pittura)

“aveva provato orrore non tanto della morte, quanto di una vita senza la minima conoscenza di ciò che essa è, donde viene, a che scopo e perché. L’organismo, la sua distruzione, l’indistruttibilità della materia, la legge di conservazione della forza, l’evoluzione, erano tutte parole che, in lui, avevano preso il posto della fede d’un tempo. Queste parole, e le concezioni ad esse legate, andavano molto bene per gli scopi intellettuali; ma per la vita non davano nulla, e Levin si sentì, a un tratto, nella situazione d’un uomo che abbia scambiato una pelliccia calda per un vestito di mussola e che, per la prima volta, al gelo, si persuada in modo indubitabile, non con ragionamenti ma con tutto il suo essere, che per lui è come se fosse nudo e che deve inevitabilmente perire in modo tormentoso.”

“Se io non riconosco quelle risposte che dà il cristianesimo alle domande della vita, allora quali risposte riconosco?”. E non riusciva in nessun modo a trovare in tutto l’arsenale delle proprie convinzioni non solo una qualche risposta, ma nulla che fosse simile a una risposta.”

"Adesso, quasi contro la propria volontà, egli si conficcava sempre più nella terra come un aratro, così che ormai non poteva più uscirne senza rivoltare il solco."

“Se il bene ha una causa, non è più bene; se ha un effetto, la ricompensa, pure non è bene. Perciò, il bene è al di fuori della catena delle cause e degli effetti.”

“Io non ho scoperto nulla. Ho soltanto imparato a conoscere quello che sapevo. ”
(Levin)

Sentimenti 

“Il suo cuore era spezzato. Perché la volevano curare con polverine e pillole? ”(Kitty)
 
“La gelosia, secondo lui, offendeva la moglie e nella moglie si doveva aver fiducia. <...> essere geloso vuol dire umiliare se stesso e lei” 

“Deve essere infelice lei che è colpevole, non io che non lo sono, e che perciò non posso essere infelice”
(Karenin)
  
“Anna, in quel periodo di libertà e rapida guarigione, si sentiva imperdonabilmente felice e piena di gioia di vivere. Il ricordo dell’infelicità del marito non avvelenava più la sua felicità. Questo ricordo, da una parte, era troppo terribile per poterci pensare; dall’altra aveva dato a lei una felicità troppo grande per pentirsene.”

“Il mio amore si fa sempre più appassionato ed egoistico, e il suo non fa che spegnersi, ecco perché ci dividiamo – ella seguitò a pensare. – E non vi si può rimediare. Io ho tutto in lui solo, e pretendo che egli mi si dia sempre di più. E lui sempre di più vuole allontanarsi da me. Noi, prima di giungere al nostro legame, ci siamo proprio andati incontro, così ora ci dividiamo andando irresistibilmente verso parti opposte. E cambiare questo non si può.”

“ho vissuto senza di lui, e l’ho scambiato con un altro amore, e non mi sono lamentata di questo baratto finché mi sono contentata di quest’altro amore”
(Anna)
“Devi capire, io non sono sua moglie; egli mi ama finché mi ama. E con che posso trattenere il suo amore? Con questo?
E allungò le braccia bianche dinanzi al ventre.”

“Tu devi capire che io amo, mi pare, allo stesso modo, ma tutti e due più di me, due esseri: Serëza e Aleksej. <...>Soltanto questi due esseri io amo, e l’uno esclude l’altro. Io non posso unirli, eppure questa sola cosa mi è necessaria. E se questo non è, allora è tutto lo stesso. Tutto, tutto è lo stesso. E in qualche modo finirà, e perciò non posso, non amo parlare di questo. Così tu non giudicarmi, non rimproverarmi nulla. Tu, con la tua purezza, non puoi capire tutto quello che io soffro.”
(Anna a Dolly)

“Vronskij apprezzava questo desiderio, che era divenuto l’unico scopo della vita di lei, non solo di piacergli, ma di essergli utile; tuttavia nello stesso tempo, sentiva anche il peso di quelle reti amorose in cui ella cercava di avvolgerlo. Quanto più il tempo passava, quanto più spesso egli si vedeva avvolto in queste reti, tanto più gli veniva il desiderio non di uscirne, ma di provare se queste non intralciassero la sua libertà.”

“Egli conosceva in lei la facoltà di ritrarsi in se stessa, e sapeva che ciò accadeva solo quando aveva deciso qualcosa fra di sé, senza comunicargli i suoi piani. Egli ne aveva paura; ma aveva un così grande desiderio di evitare una scenata, che finse di credere, e in parte sinceramente credette, a quello che voleva credere, alla ragionevolezza di lei.”

“Ed egli cercava di ricordarla come era quando l’aveva incontrata la prima volta, pure alla stazione, misteriosa e incantevole, piena d’amore, che cercava e dava la felicità, e non così crudelmente vendicativa come gli tornava alla memoria nell’ultimo istante. Egli cercava di ricordare i momenti migliori passati con lei; ma questi momenti erano avvelenati per sempre. Egli ricordava di lei solo quella minaccia trionfante, che aveva compiuto per ottenere un rimorso non necessario a nessuno, ma indistruttibile.”
(Vronskij)

Passi di: Lev Tolstoj. “Anna Karenina”. iBooks.
“Secondo il padre, egli non voleva apprendere quello che gli insegnavano. In realtà invece non poteva studiarlo. Non poteva perché nell’animo suo c’erano esigenze più imperiose di quelle che presentavano il padre e l’istitutore. Queste esigenze erano in contrasto, ed egli lottava proprio con i suoi educatori.
Aveva nove anni, era un bambino; ma l’anima sua la conosceva, gli era cara, la proteggeva come la palpebra protegge l’occhio, e senza la chiave dell’amore non lasciava entrare nessuno nella sua anima”
 
(Serëza)

La Morte
“gli appariva che era senza dubbio così, che egli aveva realmente dimenticato, tralasciato una piccola circostanza della vita, che sarebbe cioè venuta la morte e che tutto sarebbe finito, che non valeva la pena d’intraprendere cosa alcuna e che rimediare a questo non si poteva in nessun modo. Sì, era terribile, ma era così”

“Sentiva che se tutti e due non avessero finto, e avessero invece parlato come si dice, a cuore aperto, dicendo solo quello che sentivano, allora si sarebbero solo guardati negli occhi l’un l’altro e Konstantin avrebbe detto soltanto: “morirai, morirai, morirai” e Nikolaj avrebbe risposto: “lo so che morirò, e ho paura, paura, paura!”. E niente più avrebbero detto se avessero parlato a cuore aperto.”

“quel corpo morto era suo fratello vivo <...> si formò di nuovo l’espressione severa di rimprovero e di invidia di colui che muore verso chi vive”

“aveva provato orrore non tanto della morte, quanto di una vita senza la minima conoscenza di ciò che essa è, donde viene, a che scopo e perché. L’organismo, la sua distruzione, l’indistruttibilità della materia, la legge di conservazione della forza, l’evoluzione, erano tutte parole che, in lui, avevano preso il posto della fede d’un tempo. Queste parole, e le concezioni ad esse legate, andavano molto bene per gli scopi intellettuali; ma per la vita non davano nulla, e Levin si sentì, a un tratto, nella situazione d’un uomo che abbia scambiato una pelliccia calda per un vestito di mussola e che, per la prima volta, al gelo, si persuada in modo indubitabile, non con ragionamenti ma con tutto il suo essere, che per lui è come se fosse nudo e che deve inevitabilmente perire in modo tormentoso”
(Levin)

“Le sofferenze, crescendo uniformi, compivano l’opera loro e lo preparavano alla morte <...> Tutta la sua vita si fondeva in un solo senso di pena e nel desiderio di liberarsene. Evidentemente si compiva in lui quel rivolgimento che doveva portarlo a guardare alla morte come alla fine dei suoi desideri, come alla felicità. Prima, ogni singolo desiderio, provocato da una sofferenza o da una privazione, come la fame, la stanchezza, la sete, veniva soddisfatto con una funzione del corpo che dava piacere; ma adesso la privazione e la sofferenza non ricevevano soddisfazioni, anzi il tentativo di soddisfazione provocava una nuova sofferenza. E perciò tutti i desideri si fondevano in un unico desiderio: nel desiderio di liberarsi di tutte le sofferenze e della loro fonte, del corpo.”
(Nikolaj)

Tutto il capitolo XVIII sarebbe da copiare per intero.

La questione femminile

“È un circolo vizioso. La donna è priva di diritti per insufficienza di istruzione, e l’insufficienza di istruzione deriva dalla mancanza di diritti. Non bisogna dimenticare che l’asservimento delle donne è così grande e inveterato che noi spesso non vogliamo renderci conto dell’abisso che le divide da noi – egli disse.” 

“Io trovo strano soltanto questo: che le donne vadano in cerca di nuovi doveri – disse Sergej Ivanovic – quando, per disgrazia nostra, vediamo che gli uomini fanno di tutto per eluderli.
– I doveri sono congiunti ai diritti; il potere, il denaro, gli onori; è questo che cercano le donne – disse Pescov.”

“ La donna può avere il diritto di essere indipendente, colta. Ella è impacciata, oppressa dalla consapevolezza dell’impossibilità di esserlo.”

(Pescov)

"Anna parlava non solo con naturalezza e intelligenza, ma con intelligenza e noncuranza, senza attribuire nessun peso alle proprie idee, e dando grande importanza alle idee dell’interlocutore." cit. da "Anna Karenina" di Lev Tolstoj
"Anna parlava non solo con naturalezza e intelligenza, ma con intelligenza e noncuranza, senza attribuire nessun peso alle proprie idee, e dando grande importanza alle idee dell’interlocutore." cit. da "Anna Karenina" di Lev Tolstoj

martedì 9 dicembre 2014

Quando Atravessares o Rio di Ana Teresa Pereira

Quando atravessares o Rio Di Ana Teresa Pereira
Editore: Relógio d'água
Lingua:Português | Numero di pagine: 109 | Formato: Paperback
Isbn-10: 9727089402 | Isbn-13: 9789727089406 | Data di pubblicazione: 2007




Ripetitivo e noioso   (Comente em Português abaixo)

Ho acquistato questo romanzo nella bellissima libreria Bertrand nello Chiado di Lisbona un mese fa, o meglio me lo ha regalato mio marito insieme ad altri 4 libri in portoghese, durante la nostra ultima agognata vacanza. La mia fissazione per il Portogallo e per la sua lingua era già sfociata nella lettura di un paio di libri in lingua originale, ma stavolta ho voluto fare  una piccola scorta. 
Ho chiesto consiglio ad un gentile commesso, onde evitare letture eccessivamente difficili per la mia buona ma non superba padronanza della lingua, e tra altri i vari suggerimenti mi ha consigliato questo.
Devo dire che tranne qualche parola qua e là che ho dovuto cercare sul dizionario non ho avuto nessun problema di comprensione, l'unico problema che ho avuto è con la storia e lo stile della scrittura. Dopo essere rimasta delusa dalla lettura ho anche cercato qualche recensione in merito a questo libro e con sorpresa ne ho trovate solo di positive, mah... sarò strana io.
Ciò che doveva appassionarmi, cioè un certo alone di misterio e di surrealismo, per me si è rivelato di una noia mortale. Ho trovato la storia ripetitiva, uno stile soporifero, una sequela di pagine che riportano come è la protagonista fisicamente, come ha i capelli, che vestiti indossa e che colore sono; tutto ciò ha finito per anestetizzarmi e per far passare in secondo piano anche quel poco di buono che potevo trovare in queste poche pagine. Posso affermare che questa lettura è servita esclusivamente per fare un po' di pratica con la lingua portoghese, nulla più.

Repetitivo e chato  
 
Eu comprei este romance na Livraria Bertrand do Chiado Lisboa há um mês, ou melhor, meu marido deu-me, juntamente com outros quatro livros em Português, durante a nossa durante a última férias. Minha fixação para Portugal e sua linguagem já resultou na leitura de um par de livros em língua original, mas desta vez eu queria fazer um pequeno estoque.
Eu pedi o conselho de um empregado para evitar leituras muito mais difíceis para o meu não excelente domínio da língua, e entre as várias sugestões ele recomendou este.
Devo dizer que, com exceção de algumas palavras que eu tive que olhar no dicionário não tive nenhum problema de compreensão, o único problema que tive foi com a história e estilo de escritura. Depois de ser desapontada com a leitura, eu tentei encontrar alguns comentários sobre este livro e com surpresa, encontrei sò positivos, mah ... se calhar eu sou estranha.
O que tinha a me interessar, que é uma certa aura de mistério e surrealismo, para mim se tornou tão chato. Eu achei o estilo repetitivo, a história soporífera, uma seqüência de páginas que mostram como o personagem principal fisicamente è, o cabelo, as cores das ropas...; tudo acabou para ofuscar até mesmo o pouco de bom que eu poderia encontrar nestas poucas páginas. Posso dizer que essa leitura é servido apenas para fazer um pouco de prática "com a língua Português, nada mais.

venerdì 14 novembre 2014

Cronaca familiare di Vasco Pratolini


CRONACA FAMILIARE
Vasco Pratolini
Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1995
ISBN 10: 8804350318
Un libro tristissimo
 
Questo racconto autobiografico è alquanto dolente. Lo stile è piuttosto arcaico, il che considerando quando è stato scritto (1945) ci può stare, anche se altri autori che ho letto  dello stesso periodo mi sono sembrati più contemporanei, ma forse ho il ricordo di scrittori stranieri tradotti negli anni sessanta, a volte la memoria restituisce sensazioni non propriamente reali.
Nel libro si respira un'odore  stantìo, lo stesso che avverto al cimitero davanti alle tombe dei miei avi, ma più che un odore è una sensazione interna, questa storia mi ha emozionalmente portata nel passato in bianco e nero della mia famiglia.
Nel giro di poco tempo ho letto casualmente autori che si sono incontrati, o  che semplicemente hanno transitato a Napoli nello stesso periodo, coevi ma abbastanza diversi per stile tra di loro: Vasco Pratolini, Raffaele La Capria e Anna Maria Ortese. Per adesso l'amore è scattato solo con quest'ultima, che con "il mare non bagna Napoli" cita i suddetti autori insieme ad altri quali facenti parte della vita letteraria attiva della città. 
ho la sensazione, non conoscendo altro di Pratolini, che il fatto di scrivere una storia autobiografica influisca sullo stile, che l'autore sia talmente coinvolto dalla vicenda da far emergere soprattutto il lato doloroso della sua vita; Ma sto parlando basandomi su sensazioni, quindi dovrò verificare leggendo qualcos'altro dello stesso.
Alcune frasi, una in particolare, mi hanno fatto percepire Vasco Pratolini come un osservatore profondo, che si esprime con esempi e similitudini semplici ma precise al tempo stesso, pone l'attenzione a cose che un animo sensibilmente normodotato non noterebbe; riesce a trasmettere molto bene la disperazione della malattia, l'impotenza verso  medici incompetenti che usano le persone come cavie e verso un destino infame. Molto dolorosa l'ammissione della mancanza di amore patita dal fratello per tutta la vita ed il suo bisogno di affetto e contatto fisico, e altrettanto dolorosa è la figura della nonna, una persona che ha sempre amato come ha potuto i due nipoti, sacrificando la sua vita, il suo orgoglio ed i suoi bisogni.
Mi ha colpito anche il percorso  di questo amore fraterno sviluppatosi solo da giovani adulti, di come un legame si DNA possa unire ciò che culturalmente è stato diviso.
E' molto triste vedere come la povertà influisca sulle scelte della vita e costringa spesso le persone a far cose di cui poi pagheranno conseguenze inaspettate. Alla fine tutto ciò che succede nelle vite dei due fratelli è dominato dalla povertà, dal non poter prendersi cura come si vuole o come si deve di coloro che si amano e tutto questo genera patimenti e situazioni drammatiche.
Un libro avvilente, sicuramente specchio di una situazione reale negli anni quaranta, e sicuramente specchio di una situazione reale ancora adesso per alcune popolazioni e ceti sociali.

Citazioni

"Io avevo cinque anni e non potevo volerti bene; dicevano tutti che la mamma era morta per colpa tua."

"Lo chauffeur era un uomo di trent'anni, dal mento pronunciato e gli occhi neri; era distinto, d'una distinzione propria del servo, dello chauffeur padronale."

"Vi aleggiava quell'atmosfera delle vecchie case nelle quali chi le abita ha raccolto in ogni centimetro quadro una memoria; e di questi ricordi si nutre, di essi vive. Anzi non vive, si prepara, lentamente, a morire."

"Ma l'amore dei poveri è il più fragile: o il mosaico delle anime combacia perfettamente o tutto si frantuma e disperde, e l'amore diventa abbrutimento, diventa disperazione, diventa odio, ed anche tragedia."
citazione "Cronaca familiare" di Vasco Pratolini, Arnoldo Mondadori Editore
Citazione da "Cronaca familiare" di Vasco Pratolini, Arnoldo Mondadori Editore


 

mercoledì 12 novembre 2014

Tre volte all'alba di Alessandro Baricco

Genereletteratura italiana
Listino:€ 10,00
Editore:Feltrinelli
Data uscita:21/03/2012
Pagine:96
Formato:brossura
Lingua:Italiano
EAN:9788807019050
Impalpabile Baricco

Un atmosfera stile Raymond Carver, con la fantasia e la leggerezza di Baricco. 
Una lettura gradevole ma che non lascia troppo il segno.
Una storia impalpabile calata in una realtà appena accennata, dove la profondità del sentire è solo apparente a mio avviso.
Una frase finale un po' troppo ad effetto.
Questo brevissimo romanzo in tre parti rimane comunque una lettura piacevole senza troppe pretese, non all'altezza di altri testi scritti dallo stesso autore.

www.monicaspicciani.it

sabato 8 novembre 2014

I dialoghi mancati (Il signor Pirandello è desiderato al telefono. Il tempo stringe) di Antonio Tabucchi

Listino:€ 6,00
Editore:Feltrinelli
Collana:Universale economica
Data uscita:22/02/1993
Pagine:80
Lingua:Italiano
EAN:9788807812347


Mh...  (2,7 stelle)

Che confusione! Conoscendo un po' di Pirandello e un po' di Pessoa questi dialoghi diventano un carosello in cui effettivamente si perdono sia il soggetto che lo scrittore. Tabucchi sì spersonalizza e diventa autore e personaggio al pari dei due citati Pirandello e Pessoa.
Diciamo che la prima piccola pièce  teatrale non è il mio ideale, troppo arruffata, troppo surreale, anche se ne apprezzo alcune frasi illuminanti, però mi sembra troppo mutuata da Pirandello, non ci trovo la personalità prevalente e propria di Tabucchi.
Il secondo "dialogo mancato" mi è piaciuto di più come stile e anche come tematica,  anche se pure questo non mi ha colpita in modo particolare. Decisamente non amo lo stile giocoso, quel modo di esporre le cose sotto forma di teatro dell’ assurdo.  Mi piacciono i concetti ma non la forma con cui sono espressi, in questo caso più che un’idea impersonale di letteratura interviene puramente il mio gusto personale.
Riporto alcune frasi e pensieri che estrapolati dai dialoghi mi sono rimasti  impressi come concetti a sé stanti.

Citazioni:
"…Le battaglie peggiori e le grandi tempeste, voi lo sapete, sono quelle che succedono dentro la nostra testa;"

" Il corpo questo stupido involucro che avvolge il nostro quasi-niente: sogni, Esterhazy, nuvole, paure principalmente. "
" Tingere, sempre fingere, così è stata tutta la mia vita, ed era quasi bello se ci credevo davvero. "

" Pare che non ci sia molto tempo. Purtroppo nella vita non c'è mai molto tempo. Voglio dire: sembra che ci sia un sacco di tempo, ma poi, in realtà non c'è mai molto tempo. "

mercoledì 5 novembre 2014

Il lato oscuro del cuore di Corrado Augias

2014
EINAUDI Supercoralli
pp. 280
€ 19,00
ISBN 9788806222819


Amato Signor Augias, che mi combina?

La prima cosa che ho pensato leggendo le prime pagine di questo libro è stata che è assimilabile per certi versi a "Il mondo di Sofia" ma in questo caso potremmo parlare de il mondo di psiche. Augias usa lo stratagemma del romanzo per affrontare il tema della psicologia, di come è nata e dell'importanza che ha acquisito sempre più negli anni, il progetto sarebbe sostanzialmente buono, la realizzazione invece è un un minestrone dove gli ingredienti non sono dosati alla perfezione. Il libro è troppo "saggio" per essere un romanzo e troppo romanzo per essere un saggio; L'operazione che vuol fare l'autore di unire le due cose non è decisamente riuscita, ora prevale un lato ora l'altro e non si ottiene una mescolanza perfetta, una fusione armonica. Nonostante i difetti elencati la lettura scorre in modo piacevole e la parte gialla del romanzo nonostante tutto risulta abbastanza avvincente anche se talvolta poco credibile. L'autore pone l'accento su come spesso la psicoanalisi si sia evoluta a spese della donna, sulla quale sono stati svolti la maggior parte dei tirocini dei fondatori di questa nuova "medicina". Il maggior pregio di questo libro forse è il modo di scrivere, colto senza essere pretenzioso e sufficientemente chiaro nell'esposizione dei concetti. Dopo circa la metà del romanzo il racconto e la parte prettamente psicologica mi sembrano più integrate tuttavia gli argomenti continuano ad essere troppi, si ha la sensazione che Augias abbia voluto affrontare troppe tematiche tutte insieme ed abbia finito per creare un mix poco approfondito e tenuto insieme forzatamente.
vista la mia venerazione per l'autore in qualità di conduttore ed essere umano avrei voluto poter gridare al capolavoro ma purtroppo non è così, i buoni spunti di base e qualche concetto interessante non riescono a salvare l'opera nella sua interezza.

Citazioni:

"Il dolore è lo strumento, il vero fine della crudeltà è il dominio."

"Nulla sarebbe stato peggio che invidiare un giorno la vita che non erano riusciti a vivere: scaricare la delusione, o il rancore che sicuramente ne sarebbe derivato, su chi gli stava accanto. O su se stessi."


"È possibile che ci sia più verità psicologica, cioè umana, in una menzogna che non nel fedele resoconto degli eventi." cit. "Il lato oscuro del cuore" di C.Augias
"È possibile che ci sia più verità psicologica, cioè umana, in una menzogna che non nel fedele resoconto degli eventi." cit. "Il lato oscuro del cuore" di C.Augias


"Uno dei problemi di avere così tanti anni, confessò, era nel rendersi conto che c'è ancora in noi l'ombra di una misteriosa crudeltà ereditata da quando eravamo belve, rimasta anche se ormai è diventato inutile."