venerdì 1 agosto 2014

Opinioni di un Clown di Heinrich Böll

Copertina di Opinioni di un clown
 
Libro di una tristezza asciutta, non compiaciuta, per niente lirica. Il dramma della sconfitta di chi non si conforma a certe regole, di chi a suo modo ha una grande coerenza.
Sinceramente condivido molte delle opinioni di Hans il clown, ammiro la sua passione in tutto ciò che fa, anche se il suo essere fedele a sé stesso a mio parere sfocia in una sorta di follia, di fissazione sulla donna perduta e sul cattolicesimo colpevole di averla portata via da lui, che poi, detto tra noi, questa Maria non sembra poi un granché, viene da chiedersi cosa abbia trovato in lei per rovinarcisi la vita così. 
 
Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll
Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll

Il protagonista sguazza dentro la sua distruzione e fa scelte troppo estreme per i miei gusti, ma evidentemente non posso capirlo fino in fondo perché io sono una che scende a compromessi mentre lui no.
Mi destabilizza che i personaggi del libro siano molto giovani, faccio sempre riferimento a me stessa (sbagliando!) e al mio grado di maturazione e da come parla e pensa Hans lo collocherei sulla quarantina, invece no, non ha nemmeno trent' anni, certe consapevolezze io a trent’anni me le sognavo...
L'inizio del romanzo è stata la parte migliore a mio avviso, quella parte in cui un libro ti avvince e, anche se dopo  l’interesse cala, ormai ti ha legato a sé e devi finirlo per forza, più si va avanti e più appare patologico e paranoico seppur condivisibile.
"Opinioni di un Clown" è un libro molto intelligente ma per me poco empatico, anche se, avendo fatto parte di un gruppo parrocchiale nel mio passato cattolico, ho potuto ritrovare alcuni cliché effettivamente reali e situazioni di già vissuto, ma, mentre con alcuni libri scatta una corrispondenza di amorosi sensi con questonon è successo.

Sono rimasta colpita dalla lucida analisi dei rapporti familiari descritti :una madre allucinante vittima di se stessa e carnefice di chi la circonda; 
Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll
un padre che evade dal gelo familiare tramite una relazione extraconiugale, debole e accecato dalla ricchezza, incapace di comprendere i reali bisogni del figlio e di aiutarlo; 
Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll
un fratello che evade pure lui a suo modo dalla famiglia rifugiandosi in quella più grande del cattolicesimo mediante la conversione, un cattolicesimo vissuto con ottusità che lo fa passare da una prigione ad un’altra; una sorella morta in giovane età che segnerà per sempre la vita del nostro io narrante.
Interessanti le opinioni sull'arte e l’analisi di tutti i personaggi di contorno, le loro debolezze e ipocrisie, che non danno un quadro molto felice della comunità cattolica tedesca dell’epoca.
Nonostante tutto, come ho già detto, questo romanzo non mi ha coinvolta in modo eccessivo,  ne ho tuttavia apprezzato lo stile scarno ma non scialbo ed ho trovato molte frasi degne di sottolineatura per il contenuto e per la fluidità con cui è esposto. Credo che molto merito lo abbia anche la traduttrice Amina Pandolfi , temo non sia facile tradurre dal tedesco, una lingua così diversa nella costruzione delle frasi rispetto all'italiano, e rendere uno stile avendo come base di partenza il genitivo sassone non è certo uno scherzo.
 
Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll

Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll

Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll

Citazioni fotografiche da "opinioni di un clown" di Heinrich Böll
 

martedì 22 luglio 2014

Rovulutionary Road di Richard Yates

Titolo Originale Revolutionary Road 
Introduzione Richard Ford
Traduzione Adriana dell'Orto

ISBN
88-87765-90-1
Pagine 404 
Pubblicazione settembre 2003

Una volta tanto ho azzeccato la tempistica di lettura.


“Ci meravigliamo per la sua scrittorialità perfetta, la sua durevolezza quasi elementare di oggetto costruito puramente di parole che sconfigge ogni tentativo di classificazione. Realismo, naturalismo, satira sociale -i raggruppamenti critici standardizzati -vanno a farsi benedire di fronte a questo splendido libro.” 
Queste poche righe tratte dalla prefazione di Richard Ford dell’edizione Minimumfax già sarebbero sufficienti a descrivere la grandezza di questo romanzo, ma voglio fare ugualmente qualche piccola considerazione personale.
Inizio con il dire che sono contenta di aver letto "Revolutionary Road" dopo Babbitt” (qui puoi leggere la recensione) e Il grande Gatsby”  ( qui puoi leggere la recensione) e sono pure felice che le mie sensazioni siano state confermate dalle parole stesse di Richard Yates, riportate nell’edizione di Minimumfax.
“Il grande Gatsby, insieme a buona parte dei libri di Fiztgerald, ha rappresentato la mia iniziazione ufficiale al mestiere di scrittore. <…> Ecco alcuni scrittori senza i quali non sarei riuscito a mettere insieme in maniera decente nemmeno mezzo libro: Dickens, Dostoevskij, Cechov, Conrad, E.M. Forster, Katherine Mansfield, Sinclair Lewis, Ring Lardner, Dylan Thomas, J.D. Salinger, James Joyce. ” (cit. postfazione di Richard Yates )
Riconoscere delle ispirazioni, dei richiami ad altri autori, dei collegamenti, e poi averne conferma effettiva è una soddisfazione, mi fa pensare che i libri letti sono serviti a creare in me una struttura letteraria funzionante nonostante la mia scarsa memoria. Mentre leggevo questo romanzo ho ravvisato delle somiglianze stilistiche con Il grande Gatsby di Fitzgerald, somiglianze confermatemi poi dalle parole stesse dell'autore con le quali afferma di aver preso ad esempio il romanzo del suo predecessore aspirando ad una perfezione di linguaggio che  in un certo qual modo lo emulasse.
Durante la lettura ho inoltre avuto la sensazione che i protagonisti di "Revolutionary Road" potessero quasi essere gli eredi della società descritta in “Babbitt” di Sinclair Lewis, avrebbero potuto essere proprio i figli di Babbitt stesso! Per tutta la durata della lettura ho sentito i due libri collegati tra loro, come in una prosecuzione generazionale, e poi, sempre dalle stesse parole di Yates ho appreso che Sinclar Lewis è tra gli autori a cui lui si è ispirato. Sono stata fortunata ad aver letto casualmente prima questi due grandi romanzi e ad avere avuto la possibilità di ravvisare delle somiglianze e delle parentele, e per questo sento di consigliare a chi vuole leggere "Revolutionary Road" di dedicarsi prima alla lettura di “Babbitt” e de “Il grande Gatsby”, ne trarrà sicuramente un piacere maggiorato.
Ho amato da subito questo romanzo, e non perché mi piacessero particolarmente i suoi protagonisti,  bensì proprio per la sua ironica e tragica al tempo stesso messa in scena di un’umanità un po’ misera, per la perfezione di stile, per la sua capacità di calare il lettore nel tempo e luogo in cui i fatti avvengono. In fin dei conti si tratta di una storia molto triste, non per ciò che accade ma per la pochezza dei personaggi che invece, come spesso succede,  si sentono persone speciali, o forse vorrebbero soltanto esserlo, ma non fanno altro che parte di una massa benestante di gente annoiata e insoddisfatta; Nonostante questa pochezza umana non si riesce nemmeno ad odiarli questi soggetti, fanno quasi tenerezza nel loro essere limitati, nel loro tentativo goffo di salvarsi da una vita che li ha vestiti con dei panni che non sono loro, nel loro adeguarsi in qualche modo a ciò che alla fine si deve fare o nell’isolarsi nel silenzio per non udire più le banalità che offendono il briciolo d’intelligenza rimasta. Alla fine l’unico personaggio savio del romanzo, l’unico che ha il coraggio di dire ciò che pensa è  “il pazzo", e pagherà il suo parlar chiaro con la perdita della possibilità di uscire ogni tanto dall’istituto in cui i genitori lo hanno rinchiuso.
Nessuno esce bene da questa storia, le donne che bene o male sono quelle che prendono più in mano la situazione, in un senso o nell’altro sono deludenti, gli uomini si adeguano, si adagiano ed il massimo della ribellione che hanno è prendere coscienza della pochezza delle loro mogli e di loro stessi.

Citazioni:

“abbiamo accettato quest'enorme illusione, perché di questo si tratta: un'enorme, oscena illusione: l'idea che, una volta messa sufamiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e "sistemarsi". È la grande menzogna sentimentalistica piccolo borghese, la menzogna che ti ho obbligato ad accettare per tutto questo tempo”

“la voce di Milly tradiva un piacere di raccontare un tantino eccessivo. Ci si diverte, si disse Shep, osservandola da sopra l'orlo del bicchiere di whisky mentre lei arrivava al punto in cui riferiva quant'era stato spaventoso il giorno dopo. Perdio, ci sguazza dentro”

“Piangere aveva senso solo se smettevi prima di diventare melenso. E anche il cordoglio aveva senso solo se lo interrompevi quando era ancora sincero, quando ancora significava qualcosa. Perché era così facile che la cosa degenerasse: bastava lasciarsi andare e si cominciava ad abbellire i propri singhiozzi”



domenica 20 luglio 2014

Il grande Bob di George Simenon

Copertina di Il grande Bob

Tristezza permeabile 
A voler ben guardare si potrebbe definire questo romanzo una storia d'amore. Non mi aspettavo da Simenon un racconto del genere, pur non avendo letto niente di questo autore l'ho sempre identificato con l'ispettore Maigret e forse anche in questo caso mi aspettavo un poliziesco, anche se in effetti il mistero da risolvere c'è comunque,tutto il libro è incentrato sulla ricerca della verità sulla morte di Bob e su cosa lo abbia indotto suicidarsi.
Si tratta di una storia molto triste, una tristezza che ha il potere dell'umidità e ti penetra fin dentro le ossa, rafforzata nell'ascolto dell'audiolibro di Radio 3 dalla voce dolente di Paolo Graziosi e dalla bellissima colonna sonora corredata da splendide canzoni francesi, un brano intero alla fine di ogni puntata.
La vicenda in sé non è nemmeno troppo originale e forse anche abbastanza prevedibile, tuttavia il modo di raccontarla e di portarci nell'atmosfera della Parigi meno scintillante è talmente fluido che veniamo catturati dal racconto. L'unico difetto che ho trovato è un punto di vista un po' maschilista che traspare da quello che sembra essere un uso consolidato, ovvero tradire le mogli come se fosse un fatto normale e privo di significato, accettato tacitamente dalle stesse; ai miei occhi questa pratica appare invece inaccettabile, così come questo modo di amare in cui si nascondono le verità e si proteggecol silenzio, sono cose dal mio punto di vista non avallabili anche se lette in un romanzo hanno sicuramente un loro fascino.
Un bel romanzo breve che fa riflettere sui rapporti umani e sull'amore, da leggere (o da ascoltare in questo caso) solo se si è capaci di sopportare una buona dose di mestizia. 

Citazioni fotografiche:

Cit. da "Il grande Bob" di G.Simenon

Cit. da "Il grande Bob" di G.Simenon

mercoledì 16 luglio 2014

Il Clandestino di Mario Tobino

Copertina di Il clandestino

La semplicità e l'intelligenza di Tobino (4,5 stelle) 
 
Un libro umanamente e storicamente molto bello, ambientato nel periodo seguente l’ 8 settembre 1943 a Medusa, nome fantastico di una città di mare toscana, nella quale per chi è della zona è riconoscibilissima Viareggio.
Unico difetto de “Il Clandestino”: un po’ lungo; ma me la sono presa comoda per leggerlo perché valeva davvero la pena.
Credo di aver capito di più sulla seconda guerra mondiale con questo romanzo piuttosto che avendola studiata sui libri di scuola.
Quello che mi ha appassionata maggiormente è il lato umanissimo con cui si parla dei molti protagonisti, la visione psico-sociale dei fatti storici che sono esposti con profondità e con dovizia di particolari relativi agli stati d'animo di chi li vive, la genesi degli accadimenti di quel periodo.
Ho trovato il racconto più bello all'inizio che verso la fine, il finale pare quasi tirato via, sembra che Tobino sia stato maggiormente interessato a raccontare come inizia la lotta partigiana, come si forma, cosa spinge i giovani protagonisti a creare "il clandestino" piuttosto che a raccontarne l'epilogo.
Un romanzo che mira soprattutto all'aspetto psicologico umano dei personaggi, dove si indagano rossi e neri quasi allo stesso modo; attraverso quest’analisi della situazione dopo l’armistizio di Badoglio, possiamo capire meglio la grande confusione che si è generata durante la seconda guerra mondiale in Italia e le conseguenze che ne sono derivate.
Si capisce benissimo che l'autore si schiera per i partigiani, tuttavia approfondisce con coscienza e discernimento anche gli atteggiamenti dei fascisti senza facili invettive. Non è un romanzo estremo, dove i buoni sono solo buoni e viceversa, dove le convinzioni sono in tutti fortissime e univoche, nel Clandestino entrano a far parte molti uomini diversi tra loro per estrazione sociale e livello culturale, mossi anche da convinzioni differenti, ma uniti dall’amore per l’Italia. Leggendo questo libro pare che molti siano anche diventati partigiani scegliendo il male minore : "questi giovani sono impreparati politicamente, non hanno avuto le nostre passioni, sono diversi, spinti da un personale interesse e potrebbero portare confusione nel movimento, ma noi li educheremo,…” (Cit. Pag. 511)
Anche tra i fascisti non tutti erano fanatici e picchiatori, c'erano anche quelli che entravano a far parte del fascio per comodità o per una sorta di scontentezza : "dovevamo essere con lui più accoglienti, più cordiali. Forse in certe conversazioni sono stato troppo frettoloso. È uno scontento, si è sentito umiliato per mancanza di stima, anche a scuola nessuno lo considerava e ci ha sofferto; si vuole rifare, vuol far paura.” (Cit. Pag. 263)
Bellissima la descrizione del ventennio fascista ( che detto tra noi a me ricorda anche un altro ventennio molto più recente...):
"potrebbe sembrare incredibile che uomini di nessuna qualità che per caso, senza nessuna loro virtù, solo per le antiche tristi ragioni della storia italiana, si erano trovati per vent'anni a comandare, abusare, soddisfare la libidine, dopo aver constatato il 25 luglio com'erano disprezzati, derisi, da tutti accusati della rovina nazionale, ora, appena ritornato oblique e circostanze, si dimenticassero di tutto, di nuovo avvinti da un ottuso livore, dominati dalla cecità, preda della cattiveria e fossero già pronti a ricominciare, <...> l'ignoranza, insieme alle basse passioni, si era così incrostata dentro di loro da togliere ogni luce alla regione.”
Potrei andare avanti con le citazioni all’infinito ma dovrei riportare almeno metà del libro per far comprendere a fondo tutto ciò che mi ha colpito e che mi ha aperto spiragli di luce sulla nostra storia.
Seppur un tantino arcaico nello stile letterario è un romanzo che consiglio di leggere a tutti, per la sua visione lucida ma non distante dai fatti e per l’amore verso l’umanità coi suoi pregi e difetti che traspare dalle parole dell’autore. 

Considerazione: Tra le estremità ideologiche c'è sempre la maggioranza che sta nel mezzo, che si barcamena, che non ha fortissime convinzioni e finisce per appoggiare l'una o l'altra parte più per debolezza o per proprio tornaconto che per una reale convinzione morale.  
 


Siddartha di H. Hesse


Cerco un centro di gravità permanente eccetera ecetera... (2,5 stelle) 
 
Sinceramente non mi è piaciuto. E non è che non mi sia piaciuto il concetto espresso, che è condivisibile in gran parte, bensì lo stile eccessivamente mistico. Probabilmente l'ho letto, o meglio l'ho ascoltato, in un'età troppo matura, in una fase della mia esistenza in cui ho voglia di concretezza, non di pensieri fumosi infarciti di spiritualismo orientale, un momento della vita in cui i concetti li voglio espressi in modo chiaro e non metaforico.
Come dicevo questo libro non l'ho letto bensì l'ho ascoltato dalla voce dell’attore Enzo De Caro, il quale non mi ha entusiasmata nell’interpretazione; ha soprattutto contribuito in modo negativo la colonna sonora, la classica musica che si può ascoltare durante una meditazione, un massaggio rilassante, gli esercizi di yoga, una melodia che sicuramente è ben associata al libro, ma che me lo ha fatto sentire ancora più distante.
Il tema affrontato è fondamentalmente la ricerca di sé, della propria vera essenza, una ricerca che passa attraverso esperienze anche diametralmente opposte l'una dall'altra e che fanno capire che non c'è una sola via per arrivare all’interiorità, ma che ogni esperienza fatta ha un suo valore e dà un suo insegnamento ben preciso.
La morale di questo racconto-favola è condivisibile e valida universalmente, indipendentemente dai vari “OM” e richiami alle filosofie orientali, ma il modo in cui è espressa mi ha annoiato notevolmente, quasi certamente se non avessi letto "Siddartha" sotto forma di audiolibro non lo avrei nemmeno finito.

lunedì 14 luglio 2014

Diceria dell'untore di Gesualdo Bufalino

Copertina di Diceria dell'untore

Bandiera bianca
Mi arrendo, alzo le mani, ammetto la sconfitta.
O voi di cultura media, volete sentirvi dei perfetti ignoranti? Leggete questo libro.
Ho avuto quasi subito la sensazio e di leggere un romanzo in un'altra lingua... Ogni due o tre frasi avrei dovuto prendere il vocabolario per conoscere il significato delle parole usate.
Mi dispiace ma per me questa storia è illeggibile, proseguire nella sua lettura comporterebbe uno sforzo tale che al momento non sono in grado di sopportare.

martedì 1 luglio 2014

Il barone rampante di Italo calvino

Copertina di Il barone rampante
Un dovere leggere Calvino 
 
Probabilmente se non avessi ascoltato l'audiolibro letto da Manuela Mandracchia non sarei riuscita a portare fino in fondo questa storia che non incarna esattamente i miei gusti letterari; grazie all'espressività della lettrice ho potuto assaporare comunque le parti che mi rimanevano meno interessanti.
Arrivata alla mia età non potevo esimermi dal leggere un classico come Calvino, ed ho preferito iniziare con qualcosa che ritenevo fosse abbordabile come questo romanzo.
La storia è sicuramente una metafora della scelta di non adeguarsi a ciò che non reputiamo giusto, di non scendere a compromessi, mai.
Alcuni passaggi mi sono piaciuti molto, altri molto meno, sinceramente se non si fosse parlato di gatti infilzati con lo spadino e uccisioni di varie bestiole sarei stata più contenta, ma questo forse è un problema della mia personale sensibilità nei confronti degli animali.
Come ho già detto non rappresenta il genere di letteratura che prediligo, è tuttavia impossibile non riconoscere a Calvino i meriti in qualità di scrittore e la fantasia usata per esprimere alcuni concetti. Apprezzabili anche i richiami storici che si intrecciano alle vicende personali del protagonista e ci fanno calare perfettamente nel periodo in cui il racconto si svolge. 

CITAZIONI 

“Ma questi sono bambini che la sera le madri non gridano per farli tornare, ma gridano perché sono tornati, perché vengono a cena a casa, invece d’andare a cercarsi da mangiare altrove” 

“ i doveri dei cittadini liberi ed eguali o le virtù dell’uomo che segue la religione naturale diventavano regole d’una disciplina spietata, articoli d’una fede fanatica, e al di fuori di ciò non vedeva che un nero quadro di corruzione, e tutti i nuovi filosofi erano troppo blandi e superficiali nella denuncia del male, e la via della perfezione, se pur ardua, non consentiva compromessi o mezzi termini” 

“finché non morì, senza aver capito, dopo una vita intera dedicata alla fede, in che cosa mai credesse, ma cercando di credervi fermamente fino all’ultimo” 

“«Però, è così bravo», «Però, certe cose le fa bene», col tono di chi vuol fare apprezzamenti obiettivi su persona di diversa religione, o di partito contrario, e vuol mostrarsi di mente così aperta da comprendere anche le idee più lontane dalle proprie.”

lunedì 23 giugno 2014

Il peso della grazia di C. Raimo


Il peso della vita (4,5 stelle) 
Un libro complicato che tra le pieghe di elucubrazioni religiose ed esistenziali nasconde una storia d'amore insospettata ed insolita.
Dando un giudizio esclusivamente "di testa" potrei affermare che questo romanzo sia un capolavoro, ci sono tuttavia dei freni a questa affermazione che mi vengono spontanei dalla parte meno cerebrale di me stessa.  Per i miei gusti il libro è eccessivamente lungo, un po' disincentivante nel primo centinaio di pagine durante le quali si fatica ad appassionarsi alle vicende; inoltre l'ho percepito quasi soffocante in alcune sue parti, sensazione che può essermi data dall'unione tra la scrittura pulita ma ridondante al tempo stesso e i ragionamenti contorti e complessi del protagonista. Raimo è uno scrittore molto particolare, da ciò che scrive e da come lo scrive si palesa subito come una persona dall'intelligenza fuori dall'ordinario.
I temi che affronta non sono leggeri: l'amore, la realizzazione di se stessi nel lavoro, la religione e la fede, la società… ma li tratta quasi con nonchalance, li inserisce in un quotidiano forse  banale di piccole lotte per la sopravvivenza fisica e morale, nel suo parlare di questi temi non si avverte a mio avviso nessuna retorica o desiderio di insegnare a vivere.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è stato il modo in cui lo scrittore ha reso le scene di sesso, scrivere d'amore e di sesso è la cosa più difficile a mio parere, basta un niente per scadere nella volgarità, nella melensaggine, nell'erotismo da quattro soldi; Raimo invece è riuscito a raccontare gli amplessi in modo quasi perfetto, con uno stile originale e con la scelta di particolari insoliti a cui dare risalto.
Nonostante gli elogi appena fatti il romanzo non mi ha coinvolta eccessivamente, è un libro che ha bisogno di tempo per essere assimilato e apprezzato pienamente, una lettura forse non basta a gustare la sua raffinatezza di pensiero; ma è indubbiamente un libro faticoso e lungo e la voglia di rileggerlo, ad essere sinceri, per adesso non ce l’ho.
C’è una differenza tra ciò che genera emozione e ciò che si comprende esclusivamente col ragionamento, in questo caso è mancata l'empatia spontanea, ho apprezzato Raimo più con la mente che con il cuore. 

Citazioni: 

“per appagare chissà quale bisogno di conoscere nuove persone o di essere misericordioso occupandomi del prossimo e del mondo, me ne andavo in giro di notte a fare le ronde di distribuzione del cibo con i volontari dell’Arci. ” 

“Nel mio Paese è stato il peggio. I religiosi erano anche comunisti! – insiste. – Pazzi che credevano in Allah e in Carlo Marx! E hai visto quello che hanno portato.” 

“Abbassava la mano che cercava di abbracciarla e diceva dopo, dopo. Anche se quel dopo non veniva mai.
Ecco, guardavo mia madre, e vedevo una preparazione infinita del momento di festa che per lei, posticipato di continuo, anche nel giorno del suo compleanno, non doveva mai arrivare. Quando, in tutta la mia vita, ho visto mia madre gioire, placarsi, riposare? Dominata da un desiderio di riconoscimento represso – dal quale ha sempre tratto ogni energia per affrontare il presunto discredito di un matrimonio finito” 

“Se Dio ti manda una prova terribile, e ti salva, tu quando hai ripreso le forze, gli credi e – sinceramente – lo ringrazi.
Ma se Dio ti manda un’altra prova più terribile della prima dopo che ti sei convertito, ora che ci credi e lo ringrazi tutti i giorni, ce la farai a credergli ancora davanti a un’altra prova più terribile ancora?” 

“Le foto dei giovani morti risultano sempre un po’ sfocate, scattate di sorpresa: guardano altrove, si girano all’improvviso, accennano una risata, sono soprappensiero: nessuno si aspetta che quelle foto serviranno per una lapide” 

“È che non riesco a essere veramente inflessibile con mia madre. Ci passo così poco tempo insieme che non mi sento autorizzato a dirle cosa deve fare della sua vita.” 

“Del resto Gesù mica ci parlava con i bambini. Diceva «Venite a me», ma nel Vangelo non c’è un dialogo uno tra lui e i mocciosi. Loro, i bambini, se volevano lo stavano a sentire e muti.” 

“la sua pelle esondava di un umore che era aggressione, consenso, disagio, resa, un concentrato di troppi desideri: accavallati, irresolubili, in contrasto anche tra di loro, che ora riecheggiavano in me e le tornavano amplificati in tutta la loro veemenza. Era una situazione senza sbocco: come se lei mi chiedesse di placarla, mentre io non potevo far altro che da cassa di risonanza” 

“Gli stessi occhi tutta la vita, ho pensato. Anche se i nostri sentimenti, le nostre scelte più importanti cambiano, abbiamo a che fare sempre con gli stessi occhi tutta quanta la vita. ”
“ho sempre avuto paura delle cose che cambiano. Delle cose che muoiono, che muoiono anche poco.”

venerdì 13 giugno 2014

Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese

2008, 7ª ediz., pp. 176
isbn: 9788845922855
 







Una scrittura sontuosa

Solitamente scrivo i miei commenti a caldo, con le sensazioni lasciatemi dal libro ancora ben impresse nella mia labile memoria, stavolta invece ho lasciato passare una settimana e più, perché Anna maria Ortese mi ha messo in seria difficoltà.
La bellezza dei suoi racconti mi ha sorpresa, mi ha travolta. Il suo linguaggio aulico e impietoso allo stesso tempo, ricercato e duro, la costruzione quasi barocca delle frasi stridente con le miserie raccontate mi hanno colpito per la loro magnificenza ma anche per il verismo dei contenuti. Uno sguardo lucido, una scrittura limpida ed elegante che tuttavia crea anche frasi di faticosa comprensione al primo passaggio degli occhi. Un libro molto bello per il quale una sola lettura non è sufficiente per entrare nelle molteplici pieghe della Napoli qui descritta.
Quando un autore mi affascina così tanto e mi colpisce in modo particolare sono combattuta tra la voglia di analizzare frase per frase e scrivere fiumi di parole in merito oppure tacere, arrendermi all'incapacità di esprimere in modo adeguato e sintetico tutto ciò che mi è arrivato del libro. Con Annamaria Ortese ho fatto silenzio, non mi sono sentita all'altezza della sua prosa maestosa che a tratti sconfina nella poesia, il timore di banalizzare con un commento questa bellissima raccolta di racconti mi ha creato un blocco.
Voglio evitare di entrare nel dettaglio parlando delle polemiche che ci furono su questo libro quando uscì negli anni 50, non avrei nemmeno le conoscenze giuste per fare affermazioni in uno o nell'altro senso, tuttavia sento di poter dire che la Ortese ha dato una visione di Napoli terribile ma amorevole allo stesso tempo seppur di primo acchito non sembri così, una visione che ti scava dentro e che ti fa capire quanto questa città sia unica e diversa da qualsiasi altra città italiana; non dico migliore o peggiore, dico unica. Napoli può piacere o non piacere, può affascinare o disgustare, ma sicuramente quella raccontata in questo libro è una Napoli vera.
Tra tutti i racconti letti quello che mi è rimasto più ostico è “Il silenzio della ragione” forse perché legato in modo particolare ad un dato momento storico e culturale a me sconosciuto, vi si narrano dinamiche socio-politiche in cui faccio fatica a calarmi. Negli altri invece si parla soprattutto di umanità e li ho trovati splendidi, si parte con il più leggero apparentemente “Un paio d’occhiali” per passare al malinconico “Interno familiare” e si arriva poi al fulcro della Napoli dolente di “Oro a forcella” e di “La città involontaria”, quest’ultimo mi ha veramente scossa per il suo squallore così sapientemente descritto.
Anna Maria Ortese con questi racconti ha scavato dei solchi  di bellezza raccontando le bruttezze degli uomini e della sua città.
L'unico rammarico che ho in merito a questo libro è di non averlo letto in formato cartaceo, l'ebook a mio parere non dà la stessa possibilità di meditazione, di comprensione che offre la pagina di carta da toccare con le mani; sottolineare a matita le frasi che ti colpiscono invece di evidenziarle su uno schermo offre un contatto differente, più profondo.
Sono invece felice di aver ascoltato un paio di queste storie lette dalla voce di Iaia Forte in un programma radiofonico di qualche anno fa (Alta voce su Radio 3), è stata una bella esperienza ascoltare le parole della Ortese con l'intonazione teatrale di un' ottima attrice napoletana.
Che dire ancora, voglio rileggere questo libro, voglio assaporarlo di nuovo, bearmi di questo modo di scrivere e voglio leggere altro di questa meravigliosa autrice di cui fino ad un mese fa non concoscevo nemmeno l’esistenza.

Citazioni:

“ A te, che ti serve veder bene? Per quello che tieni intorno!…” (Un paio d’occhiali)

“meravigliata e abbattuta, come chi scorge per la prima volta un paese misero e silenzioso, e gli dicono che lì ha vissuto, credendo di vedere palazzi e giardini dove non erano che ciottoli e ortiche, e considerando in un baleno che la sua vita altro non era stata che servitù e sonno” (Interno familiare)

“Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina <...> Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuna lo avesse visto, o lo ricordava.” (Oro a forcella)

“Strisciano o si arrampicano o vacillano, ecco il loro modo di muoversi. Parlano molto poco, non sono più napoletani, ne nessun’altra cosa.” (La città involontaria)

“Si voleva sapere tutto, capire tutto di questa mostruosità che, alla luce degli ultimi fatti, appariva Napoli; rimuovere la lapide finissima che posava sulla sua fossa, e cercare se, in quella decomposizione rimanesse ancora qualcosa di organico.” (Il silenzio della ragione)




venerdì 6 giugno 2014

Stoner di John Williams

autore: John E. Williams titolo: Stoner 
FAZI EDITORE
collana: le strade numero: 202 
pagine: 334 
codice isbn: 978-88-6411-236-7 
data pubblicazione: 24/02/2012 
prezzo in libreria: € 17,50





Un giunco
*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***
Questo è uno di quei libri che ad un primo approccio possono sembrare privi di mordente ma che tra righe apparentemente innocue celano grandi emozioni.
Ho letto recensioni entusiastiche  e mi sono creata forti aspettative che in un primo momento mi hanno quasi lasciata delusa, mi sono detta che sì era un bel romanzo ma che in fondo non era poi questa gran cosa, poi, andando avanti con la storia, che comunque seppur nella sua pacatezza si è rivelata avvincente, ho iniziato ad apprezzare la forza nascosta di quest’uomo. Mi ha anche fatto arrabbiare, non lo nego, per una con il mio carattere accettare certi atteggiamenti e certe decisioni del protagonista non è stato affatto facile. In alcuni passaggi ero veramente incollerita al pensiero di cosa Stoner abbia dovuto-voluto subire, per me certe situazioni sono inaccettabili e non riuscivo a capire cosa spingesse questo professore universitario ad adeguarsi alle esigenze altrui, ritirandosi in un cantuccio, abdicando da ciò che gli spettava come uomo, come padre e come insegnante. Ma in fin dei conti Stoner ha scelto, anche i soprusi subiti, se avesse voluto avrebbe potuto rifiutarli, avrebbe potuto modificare il corso degli eventi, accettandone le conseguenze certo, invece preferito adottare una sorta di resistenza passiva, un adattamento alla vita funzionale forse solo al suo amore per lo studio e la conoscenza. Mi è venuto spontaneo paragonare Stoner ad un giunco, flessibile, cedevole e malleabile, ma incredibilmente forte perché non si spezza nonostante tutte le avversità.
La storia mi ha lasciato addosso una sorta di magone, la tristezza dell’ineluttabilità; soprattutto la parte finale è stata molto dolorosa da affrontare, la semplicità e la verità che ho trovato nella descrizione degli ultimi giorni di vita del protagonista mi hanno commossa fino alle lacrime, mentre leggevo avvertivo quelle parole reali come se stessi vivendo io quegli attimi. Leggere l’ultimo capitolo di questo libro è come immergersi nel corpo e nella mente di un moribondo, credo che l’avvicinamento alla morte per malattia sia proprio così come Williams l’ha descritta.
Nella postfazione Peter Cameron scrive “È un libro piccolo, dalle modeste ambizioni, ma affronta ed esplora gli interrogativi più imprescindibili e sconcertanti che ci è dato di conoscere: perché viviamo? Che cosa conferisce valore e significato alla vita? Che cosa vuol dire amare?” e ancora “Stoner attraversa con grazia leggera e delicatezza il cuore del lettore, ma la traccia che lascia è indelebile e profonda”; concordo pienamente con lui, questa figura dall’aspetto mite è dotata di una forza inimmaginabile, di uno spirito di sacrificio enorme, di un amore per lo studio fortissimo, di una capacità di comprensione ed accettazione fuori del comune.
Quando mi sono chiesta perché Stoner non si ribelli ad alcune situazioni come prime risposte mi sono data per quieto vivere e per mancanza di carattere, poi, riflettendoci e tentando di immedesimarmi in lui, sono arrivata alla conclusione che abbia sopportato tutto a causa della sua grande capacità di comprendere, di riuscire a non giudicare ed a portare dentro di sé gli altri.
Il rapporto con la moglie è tremendo, eppure lui si adatta a questo matrimonio come se fosse di gomma, allargandosi e restringendosi al bisogno, sapendo esserci quando necessario e arrivando a scomparire per la pace familiare. In questa postura devo dire che non lo condivido affatto, questa mancanza di assertività a mio parere non è un pregio, posso arrivare a capirlo ma non a reputarlo nel giusto. Non condivido la scelta di abdicare dal rapporto con la figlia, permettendo a questa moglie anaffettiva di rovinarla emotivamente facendone un suo clone, così come condivido poco anche la sua rinuncia alla donna che ama in nome del restare fedeli a loro stessi: “Io non potrei più insegnare, e tu, tu diventeresti qualcos’altro. Entrambi diventeremmo qualcos’altro, qualcosa di diverso da noi. Non saremmo niente. <...> È la paura di distruggere noi stessi e tutto quello che facciamo”; posso arrivare a capire, ma continuo a pensare che la strada da percorrere avrebbe potuto essere un’altra.
Sinceramente, nonostante la rabbia provata nei suoi confronti, non riesco nemmeno a crocifiggere Edith, la moglie, per quanto pensi che una donna così deleteria avrebbe dovuto essere arginata in qualche modo. La cosa che mi addolora è che in parte mi ritrovo in questa figura drammaticamente infelice, in questa donna “con una durezza e una fragilità dovute a un contegno inflessibile che faceva apparire ogni suo movimento rigido e forzato” ed è forse per questo che non riesco ad odiarla pienamente. Riscontro in Edith un’incapacità di percepirsi per come sia in realtà, mi fanno pena la sua disperazione e la sua sofferenza che purtroppo sfoga rovinando la vita a chi le sta intorno,  adotta strategie di premura ( volute o inconsapevoli) verso le quali il marito si sente impotente, verso le quali non riesce a ribellarsi, rispecchiarmi in alcuni suoi atteggiamenti maniacali mi ha fatto riflettere anche su me stessa e in un certo senso spero che ciò aiuti a migliorare alcuni aspetti del mio modo di affrontare la vita.
Altro personaggio irritante del romanzo è Lomax, un uomo che usa la sua intelligenza sotto forma di astuzia per distruggere letteralmente la carriera di Stoner, un uomo che ha una capacità tale di rivoltare la frittata che lascia il nostro anti-eroe quasi ammirato : “«Mio dio», disse, «che modo hai di presentare le cose…Certo, tutto quello che dici è successo, ma non c’è niente di vero. Non nel modo in cui lo descrivi».”
E anche con Lomax come con la moglie Stoner cede, si ritira, si adegua, continua a fare quello che ha sempre fatto fin da giovane, si sacrifica. Ciò che accade con Lomax mi ha fatto venire in mente la canzone di De André “Un giudice”, nella quale un uomo affetto da nanismo, una volta ottenuta una carica di potere, sfoga sugli altri tutte le sue frustrazioni e si vendica della crudeltà della vita nei suoi confronti. Questa parte del romanzo mi ha fatto molto riflettere su quanto sia difficile essere obiettivi nei confronti di chi è “diverso”, di quanto a volte nella volontà di essere giusti e corretti nel giudizio si finisca invece per discriminare al contrario, per apparire agli occhi degli altri aperti e  imparziali verso chi ha difetti fisici o psichici. Per mostrare che abbiamo la capacità di trattare tutti in modo equanime finiamo per incorrere nell’errore opposto e favorire chi in apparenza parte svantaggiato. E questo Stoner non lo fa, valuta solo le conoscenze effettive dei suoi studenti senza favoritismi e la sua onestà intellettuale gli costerà molto cara; la moglie stessa lo liquida con questa frase: “Avresti dovuto pensarci prima, e pensare alle conseguenze. Era uno storpio».
Mi sento di affermare che alla fine l’unico vero grande amore a cui Stoner non abbia mai rinunciato è quello per la cultura e per l’insegnamento, ha sopportato ristrettezze e sacrifici enormi per poter studiare non appena ha capito quanto fosse importante per lui, e in nome di ciò ha permesso a tutti di relegarlo negli angoli, perché in fin dei conti non ha mai cercato un riconoscimento tangibile bensì una coerenza con se stesso e con ciò in cui credeva. Sul letto di morte, quando osserva la sua vita e come debba  apparire fallimentare agli occhi altrui, si sente in pace con se stesso : “La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato.”
Ecco, questo è un libro in apparenza semplice ma che sfiora talmente tante situazioni della vita che se ne potrebbe parlare all’infinito, e mi rendo conto che oltre a non essere stata sintetica avrei ancora molto da scrivere in merito, ma voglio fermarmi qui, nella speranza che il mio commento possa invogliare a leggere questo gioiello della letteratura americana e possa essere spunto per riflessioni e conversazioni tra lettori.
Ho già inserito alcune citazioni nell’esposizione delle mie riflessioni ma rivorrei riportarne ancora qualcuna.

“ Sua madre sopportava la vita con pazienza, come una lunga disgrazia destinata a finire.”

“Una guerra non solo uccide qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaia di giovani.
Uccide anche qualcosa dentro le persone, qualcosa che non si può più recuperare. ”

“Deve ricordare chi è e chi ha scelto di essere, e il significato di quello che sta facendo”

“Non finiva di meravigliarsi per la facilità e la grazia con cui i lirici romani accettavano l’idea della morte, quasi che il nulla con cui si confrontavano fosse un tributo doveroso agli anni goduti in terra. E lo stupivano l’amarezza, il terrore e l’odio malcelato di certi poeti cristiani, appartenenti alla tradizione latina più tarda, davanti a una morte che, seppur vagamente, prometteva loro un’estasi eterna – come se la morte e la promessa non fossero che una beffa che gli rendeva amara la vita.”

“Mentre sistemava la stanza, che lentamente cominciava a prendere forma, si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un’immagine dentro di sé. Un’immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio.”

“Era un’idiozia, e lo sapeva, ma non protestò: sarebbe stato scortese. In fondo non era un gran fastidio e valeva la pena di sopportarlo, se poteva distrarli tutti dalla consapevolezza dell’ineluttabile.”



lunedì 2 giugno 2014

Middlesex di Jeffrey Eugenides

Copertina di Middlesex
 Più leggi e peggio è

Più libri leggo e più trovo similitudini, più trovo similitudini e più ho la sensazione che gli scrittori si copino l'uno con l'altro… Scoperta geniale non è vero?
A parte gli scherzi, l'inizio di questo libro mi ha ricordato vagamente "Quando Teresa si arrabbiò con Dio" altro libro che ho abbandonato. Seppur il primo centinaio di pagine fosse abbastanza interessante vi ho trovato comunque degli elementi di disturbo, il solito incesto (stavolta tra fratelli) e le solite violenze a danno di persone inermi... Ecco, non ho voglia di leggere queste storie, sono stanca di certi argomenti. Nel proseguire del racconto c'è stato un cambiamento tematico tuttavia ho trovato il racconto un po' noioso, non mi ha appassionata, mi sono fatta sgomentare dalla sua lunghezza ed ho realizzato che non avevo nessuna voglia di proseguire nella lettura. Peccato, leggendo la trama ero stata incuriosita dall'0riginalità cromosomica del protagonista, ma il libro mi ha delusa, e poco importa se ha vinto il Pulitzer.

Zia mame di Patrick Dennis

Copertina di Zia Mame

Simpatia forzata
Dopo aver letto molti elogi su questo libro ho deciso di leggerlo per passare momenti piacevoli e di svago. Di fatto ho ottenuto l'effetto contrario.
A ME questa Zia Mame MI irrita.
Una donna del genere mi può rimanere simpatica un minuto o al massimo il tempo di un racconto, ma leggerne per oltre 350 pagine è decisamente troppo, non mi fa sorridere, non mi diverte. Questa mi pare una storia un po' superficiale alla stregua di molte altre attuali dello stile Kinsella, con la differenza che essendo stata scritta negli anni '50 ha avuto modo di darsi un tono più intellettuale rispetto ai libri contemporanei dello stesso tipo.
Ho abbandonato la lettura dopo un centinaio di pagine.