- 2008, 7ª ediz., pp. 176isbn: 9788845922855
Una scrittura sontuosa
- Solitamente scrivo i miei commenti a caldo, con le sensazioni lasciatemi dal libro ancora ben impresse nella mia labile memoria, stavolta invece ho lasciato passare una settimana e più, perché Anna maria Ortese mi ha messo in seria difficoltà.
La bellezza dei suoi racconti mi ha sorpresa, mi ha travolta. Il suo linguaggio aulico e impietoso allo stesso tempo, ricercato e duro, la costruzione quasi barocca delle frasi stridente con le miserie raccontate mi hanno colpito per la loro magnificenza ma anche per il verismo dei contenuti. Uno sguardo lucido, una scrittura limpida ed elegante che tuttavia crea anche frasi di faticosa comprensione al primo passaggio degli occhi. Un libro molto bello per il quale una sola lettura non è sufficiente per entrare nelle molteplici pieghe della Napoli qui descritta.
Quando un autore mi affascina così tanto e mi colpisce in modo particolare sono combattuta tra la voglia di analizzare frase per frase e scrivere fiumi di parole in merito oppure tacere, arrendermi all'incapacità di esprimere in modo adeguato e sintetico tutto ciò che mi è arrivato del libro. Con Annamaria Ortese ho fatto silenzio, non mi sono sentita all'altezza della sua prosa maestosa che a tratti sconfina nella poesia, il timore di banalizzare con un commento questa bellissima raccolta di racconti mi ha creato un blocco.
Voglio evitare di entrare nel dettaglio parlando delle polemiche che ci furono su questo libro quando uscì negli anni 50, non avrei nemmeno le conoscenze giuste per fare affermazioni in uno o nell'altro senso, tuttavia sento di poter dire che la Ortese ha dato una visione di Napoli terribile ma amorevole allo stesso tempo seppur di primo acchito non sembri così, una visione che ti scava dentro e che ti fa capire quanto questa città sia unica e diversa da qualsiasi altra città italiana; non dico migliore o peggiore, dico unica. Napoli può piacere o non piacere, può affascinare o disgustare, ma sicuramente quella raccontata in questo libro è una Napoli vera.
Tra tutti i racconti letti quello che mi è rimasto più ostico è “Il silenzio della ragione” forse perché legato in modo particolare ad un dato momento storico e culturale a me sconosciuto, vi si narrano dinamiche socio-politiche in cui faccio fatica a calarmi. Negli altri invece si parla soprattutto di umanità e li ho trovati splendidi, si parte con il più leggero apparentemente “Un paio d’occhiali” per passare al malinconico “Interno familiare” e si arriva poi al fulcro della Napoli dolente di “Oro a forcella” e di “La città involontaria”, quest’ultimo mi ha veramente scossa per il suo squallore così sapientemente descritto.
Anna Maria Ortese con questi racconti ha scavato dei solchi di bellezza raccontando le bruttezze degli uomini e della sua città.
L'unico rammarico che ho in merito a questo libro è di non averlo letto in formato cartaceo, l'ebook a mio parere non dà la stessa possibilità di meditazione, di comprensione che offre la pagina di carta da toccare con le mani; sottolineare a matita le frasi che ti colpiscono invece di evidenziarle su uno schermo offre un contatto differente, più profondo.
Sono invece felice di aver ascoltato un paio di queste storie lette dalla voce di Iaia Forte in un programma radiofonico di qualche anno fa (Alta voce su Radio 3), è stata una bella esperienza ascoltare le parole della Ortese con l'intonazione teatrale di un' ottima attrice napoletana.
Che dire ancora, voglio rileggere questo libro, voglio assaporarlo di nuovo, bearmi di questo modo di scrivere e voglio leggere altro di questa meravigliosa autrice di cui fino ad un mese fa non concoscevo nemmeno l’esistenza.
Citazioni:
“ A te, che ti serve veder bene? Per quello che tieni intorno!…” (Un paio d’occhiali)
“meravigliata e abbattuta, come chi scorge per la prima volta un paese misero e silenzioso, e gli dicono che lì ha vissuto, credendo di vedere palazzi e giardini dove non erano che ciottoli e ortiche, e considerando in un baleno che la sua vita altro non era stata che servitù e sonno” (Interno familiare)
“Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina <...> Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuna lo avesse visto, o lo ricordava.” (Oro a forcella)
“Strisciano o si arrampicano o vacillano, ecco il loro modo di muoversi. Parlano molto poco, non sono più napoletani, ne nessun’altra cosa.” (La città involontaria)
“Si voleva sapere tutto, capire tutto di questa mostruosità che, alla luce degli ultimi fatti, appariva Napoli; rimuovere la lapide finissima che posava sulla sua fossa, e cercare se, in quella decomposizione rimanesse ancora qualcosa di organico.” (Il silenzio della ragione)
venerdì 13 giugno 2014
Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese
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