venerdì 6 giugno 2014

Stoner di John Williams

autore: John E. Williams titolo: Stoner 
FAZI EDITORE
collana: le strade numero: 202 
pagine: 334 
codice isbn: 978-88-6411-236-7 
data pubblicazione: 24/02/2012 
prezzo in libreria: € 17,50





Un giunco
*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***
Questo è uno di quei libri che ad un primo approccio possono sembrare privi di mordente ma che tra righe apparentemente innocue celano grandi emozioni.
Ho letto recensioni entusiastiche  e mi sono creata forti aspettative che in un primo momento mi hanno quasi lasciata delusa, mi sono detta che sì era un bel romanzo ma che in fondo non era poi questa gran cosa, poi, andando avanti con la storia, che comunque seppur nella sua pacatezza si è rivelata avvincente, ho iniziato ad apprezzare la forza nascosta di quest’uomo. Mi ha anche fatto arrabbiare, non lo nego, per una con il mio carattere accettare certi atteggiamenti e certe decisioni del protagonista non è stato affatto facile. In alcuni passaggi ero veramente incollerita al pensiero di cosa Stoner abbia dovuto-voluto subire, per me certe situazioni sono inaccettabili e non riuscivo a capire cosa spingesse questo professore universitario ad adeguarsi alle esigenze altrui, ritirandosi in un cantuccio, abdicando da ciò che gli spettava come uomo, come padre e come insegnante. Ma in fin dei conti Stoner ha scelto, anche i soprusi subiti, se avesse voluto avrebbe potuto rifiutarli, avrebbe potuto modificare il corso degli eventi, accettandone le conseguenze certo, invece preferito adottare una sorta di resistenza passiva, un adattamento alla vita funzionale forse solo al suo amore per lo studio e la conoscenza. Mi è venuto spontaneo paragonare Stoner ad un giunco, flessibile, cedevole e malleabile, ma incredibilmente forte perché non si spezza nonostante tutte le avversità.
La storia mi ha lasciato addosso una sorta di magone, la tristezza dell’ineluttabilità; soprattutto la parte finale è stata molto dolorosa da affrontare, la semplicità e la verità che ho trovato nella descrizione degli ultimi giorni di vita del protagonista mi hanno commossa fino alle lacrime, mentre leggevo avvertivo quelle parole reali come se stessi vivendo io quegli attimi. Leggere l’ultimo capitolo di questo libro è come immergersi nel corpo e nella mente di un moribondo, credo che l’avvicinamento alla morte per malattia sia proprio così come Williams l’ha descritta.
Nella postfazione Peter Cameron scrive “È un libro piccolo, dalle modeste ambizioni, ma affronta ed esplora gli interrogativi più imprescindibili e sconcertanti che ci è dato di conoscere: perché viviamo? Che cosa conferisce valore e significato alla vita? Che cosa vuol dire amare?” e ancora “Stoner attraversa con grazia leggera e delicatezza il cuore del lettore, ma la traccia che lascia è indelebile e profonda”; concordo pienamente con lui, questa figura dall’aspetto mite è dotata di una forza inimmaginabile, di uno spirito di sacrificio enorme, di un amore per lo studio fortissimo, di una capacità di comprensione ed accettazione fuori del comune.
Quando mi sono chiesta perché Stoner non si ribelli ad alcune situazioni come prime risposte mi sono data per quieto vivere e per mancanza di carattere, poi, riflettendoci e tentando di immedesimarmi in lui, sono arrivata alla conclusione che abbia sopportato tutto a causa della sua grande capacità di comprendere, di riuscire a non giudicare ed a portare dentro di sé gli altri.
Il rapporto con la moglie è tremendo, eppure lui si adatta a questo matrimonio come se fosse di gomma, allargandosi e restringendosi al bisogno, sapendo esserci quando necessario e arrivando a scomparire per la pace familiare. In questa postura devo dire che non lo condivido affatto, questa mancanza di assertività a mio parere non è un pregio, posso arrivare a capirlo ma non a reputarlo nel giusto. Non condivido la scelta di abdicare dal rapporto con la figlia, permettendo a questa moglie anaffettiva di rovinarla emotivamente facendone un suo clone, così come condivido poco anche la sua rinuncia alla donna che ama in nome del restare fedeli a loro stessi: “Io non potrei più insegnare, e tu, tu diventeresti qualcos’altro. Entrambi diventeremmo qualcos’altro, qualcosa di diverso da noi. Non saremmo niente. <...> È la paura di distruggere noi stessi e tutto quello che facciamo”; posso arrivare a capire, ma continuo a pensare che la strada da percorrere avrebbe potuto essere un’altra.
Sinceramente, nonostante la rabbia provata nei suoi confronti, non riesco nemmeno a crocifiggere Edith, la moglie, per quanto pensi che una donna così deleteria avrebbe dovuto essere arginata in qualche modo. La cosa che mi addolora è che in parte mi ritrovo in questa figura drammaticamente infelice, in questa donna “con una durezza e una fragilità dovute a un contegno inflessibile che faceva apparire ogni suo movimento rigido e forzato” ed è forse per questo che non riesco ad odiarla pienamente. Riscontro in Edith un’incapacità di percepirsi per come sia in realtà, mi fanno pena la sua disperazione e la sua sofferenza che purtroppo sfoga rovinando la vita a chi le sta intorno,  adotta strategie di premura ( volute o inconsapevoli) verso le quali il marito si sente impotente, verso le quali non riesce a ribellarsi, rispecchiarmi in alcuni suoi atteggiamenti maniacali mi ha fatto riflettere anche su me stessa e in un certo senso spero che ciò aiuti a migliorare alcuni aspetti del mio modo di affrontare la vita.
Altro personaggio irritante del romanzo è Lomax, un uomo che usa la sua intelligenza sotto forma di astuzia per distruggere letteralmente la carriera di Stoner, un uomo che ha una capacità tale di rivoltare la frittata che lascia il nostro anti-eroe quasi ammirato : “«Mio dio», disse, «che modo hai di presentare le cose…Certo, tutto quello che dici è successo, ma non c’è niente di vero. Non nel modo in cui lo descrivi».”
E anche con Lomax come con la moglie Stoner cede, si ritira, si adegua, continua a fare quello che ha sempre fatto fin da giovane, si sacrifica. Ciò che accade con Lomax mi ha fatto venire in mente la canzone di De André “Un giudice”, nella quale un uomo affetto da nanismo, una volta ottenuta una carica di potere, sfoga sugli altri tutte le sue frustrazioni e si vendica della crudeltà della vita nei suoi confronti. Questa parte del romanzo mi ha fatto molto riflettere su quanto sia difficile essere obiettivi nei confronti di chi è “diverso”, di quanto a volte nella volontà di essere giusti e corretti nel giudizio si finisca invece per discriminare al contrario, per apparire agli occhi degli altri aperti e  imparziali verso chi ha difetti fisici o psichici. Per mostrare che abbiamo la capacità di trattare tutti in modo equanime finiamo per incorrere nell’errore opposto e favorire chi in apparenza parte svantaggiato. E questo Stoner non lo fa, valuta solo le conoscenze effettive dei suoi studenti senza favoritismi e la sua onestà intellettuale gli costerà molto cara; la moglie stessa lo liquida con questa frase: “Avresti dovuto pensarci prima, e pensare alle conseguenze. Era uno storpio».
Mi sento di affermare che alla fine l’unico vero grande amore a cui Stoner non abbia mai rinunciato è quello per la cultura e per l’insegnamento, ha sopportato ristrettezze e sacrifici enormi per poter studiare non appena ha capito quanto fosse importante per lui, e in nome di ciò ha permesso a tutti di relegarlo negli angoli, perché in fin dei conti non ha mai cercato un riconoscimento tangibile bensì una coerenza con se stesso e con ciò in cui credeva. Sul letto di morte, quando osserva la sua vita e come debba  apparire fallimentare agli occhi altrui, si sente in pace con se stesso : “La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato.”
Ecco, questo è un libro in apparenza semplice ma che sfiora talmente tante situazioni della vita che se ne potrebbe parlare all’infinito, e mi rendo conto che oltre a non essere stata sintetica avrei ancora molto da scrivere in merito, ma voglio fermarmi qui, nella speranza che il mio commento possa invogliare a leggere questo gioiello della letteratura americana e possa essere spunto per riflessioni e conversazioni tra lettori.
Ho già inserito alcune citazioni nell’esposizione delle mie riflessioni ma rivorrei riportarne ancora qualcuna.

“ Sua madre sopportava la vita con pazienza, come una lunga disgrazia destinata a finire.”

“Una guerra non solo uccide qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaia di giovani.
Uccide anche qualcosa dentro le persone, qualcosa che non si può più recuperare. ”

“Deve ricordare chi è e chi ha scelto di essere, e il significato di quello che sta facendo”

“Non finiva di meravigliarsi per la facilità e la grazia con cui i lirici romani accettavano l’idea della morte, quasi che il nulla con cui si confrontavano fosse un tributo doveroso agli anni goduti in terra. E lo stupivano l’amarezza, il terrore e l’odio malcelato di certi poeti cristiani, appartenenti alla tradizione latina più tarda, davanti a una morte che, seppur vagamente, prometteva loro un’estasi eterna – come se la morte e la promessa non fossero che una beffa che gli rendeva amara la vita.”

“Mentre sistemava la stanza, che lentamente cominciava a prendere forma, si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un’immagine dentro di sé. Un’immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio.”

“Era un’idiozia, e lo sapeva, ma non protestò: sarebbe stato scortese. In fondo non era un gran fastidio e valeva la pena di sopportarlo, se poteva distrarli tutti dalla consapevolezza dell’ineluttabile.”



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