giovedì 20 marzo 2014
mercoledì 12 marzo 2014
Storia di Irene di Erri De Luca
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Poetico e surreale (3,4 stelle)
- Sono un'estimatrice di Erri De Luca, ma questa breve raccolta di racconti non ha soddisfatto le mie aspettative.
Lo stile, forse più poetico di altri suoi libri, a tratti mi è rimasto un po' pesante. Probabilmente non essendo appassionata di poesia ritrovarne un eccesso in una prosa mi disturba un po', specie se associato ad una storia surreale come quella del primo racconto.
La prima novella,"Storia di Irene", è la più lunga delle tre e quella che caratterizza il libro, ma mi è piaciuta meno delle altre.
Ho preferito di gran lunga l'ultima narrazione,"Una cosa molto stupida", brevissima ma intensa, una piccola perla di tristi verità e di una piccolissima grande gioia finale.
Resta fermo il punto che De Luca è e rimane un grande raccontatore, con il suo modo inconfondibile di scrivere e di pensare. Le sue storie non sono mai vuote, comunicano sempre una comprensione di ciò che è altro da sé, un impegno civile nella difesa degli indifesi e della terra, uno sguardo aperto sulle cose.
Sia che parli di realtà o di fantasia nel modo di raccontare di De Luca c'è sempre implicito un messaggio, anche quando apparentemente chi racconta non sembra coinvolto.Citazioni:"...la sua presenza è di striscio. Badano a lei come a un'ombra sul muro.""Faccio il conducente di storie.""Qualcuno è andato a strascico sul fondo. Dopo il passaggio lascia deserto. Il mare non può essere arato.""...la vita che aspettava un'ora di felicità per togliere il disturbo."
giovedì 6 marzo 2014
La vita davanti a sé di Romain Gary
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Di una bellezza disarmante.
- Romain Gary (Pseudonimo di Roman Kacew)
Dopo la morte di Kacew si scoprì che, sotto lo pseudonimo di Émile Ajar, era anche l'autore di altri quattro romanzi la cui paternità era stata attribuita ad un suo parente.
Sono venuta a conoscenza di questo diamante grezzo grazie alla Twittlettura (lettura collettiva su Twitter) cui partecipo da vari mesi ormai. Non avevo mai sentito parlare di questo autore dai molteplici pseudonimi né di questa storia che si è rivelata bellissima, e non finirò mai di ringraziare chi me li ha fatti scoprire.
“La vita davanti a sé” è ambientato nel 1970 a Parigi ed è il racconto autobiografico, dall’infanzia all’età attuale, di un quattordicenne trovatosi a vivere un’esistenza decisamente difficile. Momo, il protagonista, narra la sua vita di “figlio di puttana” dato in custodia ad una vecchia signora, Madame Rosa, puttana anch’essa in pensione, che raccoglie a casa sua dietro compenso i figli delle meretrici di professione.
Il libro si legge con una facilità incredibile, è scritto in modo semplice e diretto, proprio come se fosse un bambino non troppo istruito ma di una sensibilità stupefacente a raccontare in prima persona. Inizialmente, nonostante il fascino indiscutibile della storia, sono rimasta un po’ infastidita dagli strafalcioni incontrati e mi sono chiesta se l’uso spesso errato dei verbi fosse una scelta del traduttore o dell’autore, ma ben presto ho compreso che lo stile sgrammaticato è certamente voluto, per tradurre il modo di parlare e di pensare di un ragazzino dei bassifondi parigini. Momo è circondato da brutture che racconta con la naturalezza tipica di chi le vive come una cosa normale, il candore e l’inclemenza al tempo stesso del suo sguardo ci portano in una realtà durissima, in cui troviamo però tanta umanità nel senso positivo del termine.
Argomenti spinosi, tuttora reputati tabù, vengono qui affrontati con una semplicità ed una chiarezza disarmante, in questo libro nulla è osceno, nulla è volgare seppur le cose vengano chiamate con il loro nome. Esistono delle verità e ce le ritroviamo tra le mani senza falsi pudori, verità crude che viste attraverso il giovane protagonista diventano perfino accettabili.
Credo di non aver mai sottolineato così tante frasi in un libro.
“La vita davanti a sé” è una citazione continua, trovare frasi belle da abbinare ai miei dipinti e da riportare nella Twittlettura è stato facile, si tratta di un romanzo in cui basta aprire una pagina a caso per trovare frasi folgoranti e ampiamente condivisibili.
Potrei continuare a dilungarmi in lodi sperticate analizzando i vari temi toccati da Gary, ma mi fermo qui, non voglio analizzare ciò che ci viene servito già chiarissimo, voglio semplicemente incoraggiare la lettura questo bellissimo libro, invitare chi mi legge ad accostarvisi senza pregiudizi e moralismi ed a farsi coinvolgere da una storia veramente speciale. - Citazioni
- Le citazioni, trattandosi di una Twittlettura, sono riunite nel post apposito, ognuna abbinata ad uno dei miei dipinti a questo LINK
sabato 1 marzo 2014
Severina di Rodrigo Rey Rosa
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Voltiamo pagina che è meglio.
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Ho appena finito di leggerlo e già non lo ricordo più.
L'unico pregio di questo libro è che è scritto con uno stile decente, ma per quanto riguarda i contenuti l'ho trovato vuoto. Personaggi sfuggenti e non approfonditi che dovrebbero affascinare ma che mi hanno irritato solamente.Sono rimasta stupita da questo libro perchè avevo letto un'altro libro di Rey Rosa ( Quel che sognò Sebastian ) e sinceramente, pur non avendomi entusiasmata per un eccessiva crudezza della storia, mi era parso un autore di un certo spessore. Qui lo spessore è scomparso decisamente.
Non è sufficiente parlare di libri in un libro (cosa che mi pare vada di moda al momento) né basta una figura femminile misteriosa a creare una storia appetibile, la storia non c'è. E non basta nemmeno definire il romanzo "chagalliano" nel retro di copertina per giustificarne l'inconsistenza.
Centodieci pagine scritte con caratteri grandi per allungare una minestra insipida.
venerdì 28 febbraio 2014
Passaggio in India di E.M. Forster
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Io ci ho provato, sul serio.
- Mi sono apprestata a leggere questo romanzo con le migliori intenzioni, ho retto la prima parte decentemente, ma poi mi sono dovuta arrendere all’evidenza che questo classico moderno non fa per me.
Non avevo letto nulla di Forster finora, avevo solo visto due film tratti dai suoi romanzi (Casa Howard e Camera con vista) e in base a quelli dovevo immaginarmi che la lettura non avrebbe incontrato troppo i miei gusti. A dire il vero un film su Passaggio in India lo guarderei volentieri, la durata sarebbe limitata, i numerosi personaggi avrebbero un volto per essere ricordati meglio, ci sarebbero sicuramente belle inquadrature, una bella fotografia. Ma il libro no, decisamente è in uno stile troppo “antico” e soprattutto si narra di vicende basate su certe convenzioni sociali e su certi modi di ragionare per me incomprensibili.
Sicuramente la forma in cui il romanzo è scritto ha influenzato negativamente il mio apprezzamento, più che della storia in sé. Forster è lontano dallo stile di alcuni autori suoi coevi che mi sono piaciuti per la loro modernità, lui guarda al passato come modello stilistico, troppo “english old style” per destare in me un interesse vivo.
Ho voluto comunque portare a termine la lettura, forse alla ricerca di una rivelazione finale che mi illuminasse, ma la rivelazione non è arrivata, e non mi vergogno a dire che ad un certo punto ho cominciato a saltellare tra le pagine per accelerare la fine di questa noiosa esperienza.
Peccato, perchè alcuni spunti mi sono piaciuti, ad esempio alcune velate critiche alle convenzioni sociali, che però, invece di emergere con prepotenza, sono rimaste appena percepibili sotto la patina “politically correct” tipicamente inglese.
Citazione:
“ Ma se non ci si preoccupa come si fa a capire?”
mercoledì 26 febbraio 2014
Moscerine di Anna Marchesini
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Racconti che del moscerino hanno solo la brevità.
- La Marchesini è faticosa, sovrabbondante, poeticamente logorroica. I suoi racconti ti soffocano quasi, le sue frasi a volte sembrano non finire mai e tu implodi mentre le leggi.
Ciononostante è brava. Ha una capacita d’immedesimazione fuori dal comune, mentre la leggi pensi che stia scrivendo con cognizione di causa perchè ciò di cui parla lo ha vissuto sulla propria pelle, anche quando racconta della morte sembra che l’abbia vissuta in prima persona e che per chissà quale miracolo sia resuscitata per venire a raccontarcela.
Il difetto maggiore rimane la ridondanza. La prima frase è perfetta, basterebbe a capire il tutto ma la Marchesini ci torna e ci ritorna, ripetendosi e modificando le parole per dire ciò che aveva già detto splendidamente fin da subito, per rafforzare ciò che si era già capito benissimo alla prima, e questo appesantisce, soffoca.
Devo dire che su nove racconti solamente tre mi sono piaciuti moltissimo, gli altri chi più e chi meno hanno rappresentato ai miei occhi più che altro un’esercizio stilistico. Però quei tre valgono il libro.
“La signorina Iovis” con la sua figura patetica, con la sua esistenza “striminzita”, mi ha commossa.
In “Lisetta” si assiste ad una bellissima analisi della perdita, del dolore, dei rapporti umani di amore ed amicizia.
“In punto di morte” è il racconto che mi ha colpita maggiormente, per la capacità di farti entrare nel corpo immobile del moribondo, nei suoi pensieri, per la delicatezza con cui descrive la catarsi di un’esistenza di solitudine nell’ultimo attimo di vita.
Anche “Le evidenze” mi è piaciuto ma in questo racconto la verbosità è stata davvero eccessiva.
La Marchesini è brava ad entrare nelle persone, ad osservarle nell’intimo, a sapercele restituire con un raro talento umano; è meno brava stilisticamente, ossia, è troppo brava stilisticamente, talmente brava che diventa troppo.
Personalmente trovo che se snellisse appena appena la sua scrittura sarebbe una sintesi perfetta di anima e forma, ma è un parere puramente soggettivo.
Citazioni:
“La signorina Iovis in tutta la sua vita si era storta una caviglia.
Con ogni probabilità, anzi di certo con ogni evidenza, codesto evento più di ogni altro aveva rappresentato l’accadimento di maggiore rilevanza di tutta la sua striminzita esistenza.” (“La signorina Iovis”)
“Il dolore aveva assunto le sue misure la sua forma, lui lo indossava come una vestaglia dentro casa per strada, ci viveva insieme, era tutt’uno.” (“Lisetta”)
“la sua coscienza, era rimasta ancora completamente lucida e continuava a respirare sommersa sotto i resti, le reliquie evidenti della disgregazione del suo corpo, era come se fosse rimasto vivo sotto le macerie della sua casa crollata per effetto di un terremoto; dunque doveva solo attendere ancora, non doveva muoversi, solo aspettare non c’era nulla da fare, nessun soccorso da chiamare”(“In punto di morte”)
mercoledì 19 febbraio 2014
Il male è nelle cose di Maurizio Cucchi
Non avrei mai immaginato di arrivare a provare il desiderio di bruciare un libro, e invece è successo.
Ho quasi pensato che fosse necessario eliminarlo, o comunque nasconderlo in fondo ad un armadio affinché nessuno potesse leggerlo e farsi eventualmente ispirare da esso.
E’ una sciocchezza lo so. Sicuramente ci sono racconti ben peggiori, dove l’horror e lo splatter la fanno da padroni, che possono influenzare negativamente una mente fragile, ma questo è diverso.
Se il male è nelle cose allora lo è anche in questo libro.
Il fatto è che ci sono dei generi letterari in cui tu già sai a cosa vai incontro, ed io li evito accuratamente, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un romanzo che non fa parte di quel filone truculento che tanto va di moda, no, questo è letteratura.
Maurizio Cucchi sa scrivere.
La storia, nel suo apparente succedere poco o nulla, è avvincente. I capitoli brevissimi, contraddistinti dallo scorrere del calendario, danno un ritmo eccellente al racconto e ci portano alla meta inesorabilmente della definitiva rivelazione del protagonista.
Leggendo varie recensioni ho visto che il Pietro di Cucchi è stato paragonato a Lo Straniero di Camus, ma a mio avviso sono diversi. Se Lo Straniero era avvolto da una sorta di indifferenza alla vita, in Pietro si va oltre. In Pietro c’è una specie di apatia che sfocia in pensieri ossessivi e in raptus veri e propri, che lui tenta di spiegare razionalmente affermando che il male è nelle cose in sé e non tanto in chi le usa, chi ne fa uso non può fare altrimenti che utilizzarle per lo scopo per cui sono state create. Sembra che in Pietro ci sia una sorta di ribellione alla maschera di gentilezza da lui sempre indossata, ma si tratta di una ribellione malsana che lo porta ad atti crudeli verso esseri indifesi ed infine anche ad atti di autolesionismo.
Oggettivamente questo libro è “bello”, è riuscito. L’autore ha la capacità di trasportarci dentro la storia senza noia, sa spiegare la deformazione mentale che si va creando nel protagonista, lo sa fare talmente bene e con una tale verità che per me è insopportabile. Va a toccare tasti che mi inquietano troppo, che mi fanno stare troppo male, non accetto la crudeltà sugli indifesi, nemmeno se apparentemente può avere una spiegazione quasi logica. Da qui è scaturita la voglia di bruciarlo, quasi per difendere menti deboli che potrebbero leggerlo e trarne ispirazione per atti malvagi. Ma ovviamente non lo brucerò. Probabilmente lo terrò invece di liberarmene, come faccio di solito con i libri a cui non mi sono affezionata, ma devo ammettere che l’idea di tenerlo con gli altri mi da un senso di contaminazione. Ecco, vedete? Maurizio Cucchi è stato talmente capace da indurmi a pensare che il male sia davvero nelle cose, in questo libro ad esempio, che mi porta a ragionare come una psicopatica. E bravo Cucchi.
Citazione:
“ In fondo - si diceva - i bambini, che sono natura, dove vedono la debolezza colpiscono senza esitare, senza pietà, e ci provano gusto, soddisfazione.”
Ho quasi pensato che fosse necessario eliminarlo, o comunque nasconderlo in fondo ad un armadio affinché nessuno potesse leggerlo e farsi eventualmente ispirare da esso.
E’ una sciocchezza lo so. Sicuramente ci sono racconti ben peggiori, dove l’horror e lo splatter la fanno da padroni, che possono influenzare negativamente una mente fragile, ma questo è diverso.
Se il male è nelle cose allora lo è anche in questo libro.
Il fatto è che ci sono dei generi letterari in cui tu già sai a cosa vai incontro, ed io li evito accuratamente, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un romanzo che non fa parte di quel filone truculento che tanto va di moda, no, questo è letteratura.
Maurizio Cucchi sa scrivere.
La storia, nel suo apparente succedere poco o nulla, è avvincente. I capitoli brevissimi, contraddistinti dallo scorrere del calendario, danno un ritmo eccellente al racconto e ci portano alla meta inesorabilmente della definitiva rivelazione del protagonista.
Leggendo varie recensioni ho visto che il Pietro di Cucchi è stato paragonato a Lo Straniero di Camus, ma a mio avviso sono diversi. Se Lo Straniero era avvolto da una sorta di indifferenza alla vita, in Pietro si va oltre. In Pietro c’è una specie di apatia che sfocia in pensieri ossessivi e in raptus veri e propri, che lui tenta di spiegare razionalmente affermando che il male è nelle cose in sé e non tanto in chi le usa, chi ne fa uso non può fare altrimenti che utilizzarle per lo scopo per cui sono state create. Sembra che in Pietro ci sia una sorta di ribellione alla maschera di gentilezza da lui sempre indossata, ma si tratta di una ribellione malsana che lo porta ad atti crudeli verso esseri indifesi ed infine anche ad atti di autolesionismo.
Oggettivamente questo libro è “bello”, è riuscito. L’autore ha la capacità di trasportarci dentro la storia senza noia, sa spiegare la deformazione mentale che si va creando nel protagonista, lo sa fare talmente bene e con una tale verità che per me è insopportabile. Va a toccare tasti che mi inquietano troppo, che mi fanno stare troppo male, non accetto la crudeltà sugli indifesi, nemmeno se apparentemente può avere una spiegazione quasi logica. Da qui è scaturita la voglia di bruciarlo, quasi per difendere menti deboli che potrebbero leggerlo e trarne ispirazione per atti malvagi. Ma ovviamente non lo brucerò. Probabilmente lo terrò invece di liberarmene, come faccio di solito con i libri a cui non mi sono affezionata, ma devo ammettere che l’idea di tenerlo con gli altri mi da un senso di contaminazione. Ecco, vedete? Maurizio Cucchi è stato talmente capace da indurmi a pensare che il male sia davvero nelle cose, in questo libro ad esempio, che mi porta a ragionare come una psicopatica. E bravo Cucchi.
Citazione:
“ In fondo - si diceva - i bambini, che sono natura, dove vedono la debolezza colpiscono senza esitare, senza pietà, e ci provano gusto, soddisfazione.”
domenica 16 febbraio 2014
L’inverno a Lisbona di A.M.Molina
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Ma Lisbona dov’è?
Ho preso questo libro mossa dalla mia “malattia” per Lisbona, sperando di trovarvi le sue atmosfere, i suoi luoghi a me tanto cari, la sua saudade; ma in questo libro ho soltanto trovato un’atmosfera noir da cinema americano anni quaranta.
Una scrittura abbastanza ricercata ma vagamente stonata, uno stile che pare rifarsi più ad un cliché che ad un’ispirazione autentica.
Dopo una trentina di pagine mi sono resa conto di provare solo noia per una storia inconcludente che non mi pareva celasse nulla di consistente nemmeno nelle sue pieghe più nascoste. Ho provato a sbirciare più avanti e la sensazione è che tutto il libro corresse più o meno sulla stessa lunghezza d’onda e che non succedesse nulla di interessante né a livello emotivo né a livello del racconto.
Per di più Lisbona non c’era.
L’ho abbandonato. Se voglio avere sensazioni alla “provaci ancora Sam” preferisco guardarmi un film con Humphrey Bogart.
venerdì 14 febbraio 2014
Franny e Zooey di J.D.Salinger
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Le paturnie di una ventenne eccezionale
- Leggere questo libro è stata un’esperienza strana.
I ricordi che ho di me all’età dei protagonisti sono piuttosto vaghi, mi penso come un’ inconsapevole ragazzotta cresciuta (poco) nella bambagia, facente parte di un mondo piccolo. A dire il vero ho ancora di me questa visione un po’ anche adesso che a quarantadue anni suonati dovrei sentirmi una donna fatta e finita, e invece no. Tornando ai protagonisti della storia, mi appaiono alieni rispetto alla proiezione che ho di me alla loro stessa età. Mi sembrano estremamente cresciuti, maturi, parlano e discutono con la capacità e la sapienza di un adulto colto... È anche vero che fanno parte di una famiglia eccezionale, sono stati “bambini eccezionali”, di una straordinaria intelligenza e precocità, e forse questo loro pregio è stato alla fine anche il loro guaio.
Il libro, tranne qualche passaggio eccessivamente logorroico, è scritto benissimo, ho trovato la prima parte in special modo un gioiello di perfezione. In quanto alla storia, assimilabile ad un romanzo di formazione, è semplice ma complessa al tempo stesso, l’intenso acume dei protagonisti li porta a filosofeggiare ed a porsi domande esistenziali rendendo i dialoghi penetranti, inoltre Franny e Zooey portano sulle spalle il fardello troppo pesante dei fratelli, soprattutto di quelli morti.
Probabilmente leggere questo libro a quarant’anni non è fondamentale ma è comunque piacevole; leggerlo a diciotto è vivamente consigliato, al posto di tanta letteratura da strapazzo per giovani menti appannate; leggerlo se si ha intenzione di mandare un bambino ad un talent-show è imprescindibile.
Citazioni:
“...divisa com'era tra l'autodisapprovazione e la malizia, le venne voglia di dire quel che pensava.”
“Siete persino venuti qui tutti e due per molti week-end, in questi ultimi due anni, e anche se abbiamo parlato e parlato e parlato, ci siamo trovati tutti d'accordo a non dire una parola.”
“abbiamo i nostri complessi del «Bambino Eccezionale». Non siamo mai usciti veramente da quella dannata radio. Nessuno di noi. Noi non parliamo, dissertiamo. Non conversiamo, diamo spiegazioni. Almeno, io faccio così.”
“All'università non ti accennano mai, nemmeno una volta che la saggezza dovrebbe essere la meta della conoscenza. Quasi nemmeno la nominano, la saggezza.”
“io non ho mai cercato, consapevolmente o no, di trasformare Gesù in san Francesco d'Assisi solo per renderlo più «amabile», come ha sempre cercato di fare il novanta per cento dei cristiani. “
“Ma non andare in giro a gridare contro gli ego in generale. Secondo me, se vuoi proprio saperlo, metà della sporcizia di questo mondo è provocata da persone che non si servono del proprio vero ego.”
“Un artista si preoccupa solo di raggiungere una sua perfezione. E alle sue condizioni, sue e di nessun altro. “
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La storia di Lila e Lenu senza dubbio si legge agevolmente fatta eccezione per la quantità enorme di personaggi che spesso mi hanno confusa, soprattutto a causa della mia scarsa memoria, lo ammetto. Si tratta di un bel romanzo nel senso sostanziale del termine, in quanto contiene gli ingredienti giusti per avvincere il lettore: c’è il racconto appassionante di un’amicizia, i personaggi sono abbastanza ben delineati, c’è la fotografia di una Napoli anni ’50, c’è una sorta di spiegazione di certe dinamiche di violenza verbale e fisica e della condizione femminile di quell’ epoca e di quel luogo. I componenti essenziali non fanno difetto, ma a mio parere, il libro non va oltre una piacevole lettura. Manca un respiro più elevato che lo innalzi da semplice romanzo ad opera letteraria destinata a diventare un “classico”.
Avevo letto recensioni entusiastiche in merito a questa storia, recensioni che avevano creato una forte aspettativa in me, e forse questo ha giocato a sfavore della Ferrante, quanto più alte sono le attese e quanto più facciamo le pulci all’autore ed ai suoi libri. Senza dubbio ciò che ho apprezzato maggiormente è stata la semplicità con cui l’autrice ha reso l’idea di come fosse ( e forse di come sia tuttora) la vita in certi rioni di Napoli, senza ammantare di poesia ciò che poetico non è, semplicemente raccontando la realtà attraverso gli occhi di Lenu prima bambina e poi adolescente.
Mentre leggevo mi sono trovata più volte a pensare che “L’amica geniale” sarebbe adatto alla trasposizione in una mini serie per la tv, ecco, l’ho trovato estremamente televisivo, e credo che un bravo regista potrebbe trarne un’ottimo prodotto per il grande pubblico, ovviamente utilizzando la trilogia al completo. Perchè se non lo sapete, dopo aver letto “L’amica geniale” vi aspettano altri due tomi in cui la storia continua ( “Storia del nuovo cognome” e “Storia di chi fugge e di chi resta”) anche se devo ammettere che in fin dei conti il romanzo potrebbe anche concludersi così, con Lila e Lenu che salutano l’adolescenza e si avviano ad una nuova vita.