domenica 27 aprile 2014

Quando Teresa si arrabbiò con Dio di Alejandro Jodorowsky

Copertina di Quando Teresa si arrabbiò con Dio

Bello ma per stomaci forti... 
Dopo aver letto Garcia Marquez certe storie come questa hanno un che di già sentito. Non si tratta di un clone certo ma la matrice latinoamericana con le sue leggende si fa sentire, in questo caso è mescolata alla tradizione ebraica per cui si crea un mix interessante che inizialmente mi ha fatto ben sperare. Leggendo questo romanzo ho ripensato anche a “Ogni cosa è illuminata” di Safran Foer, quest’ultimo è stato scritto diversi anni dopo a “Quando Teresa si arrabbiò con Dio” e, seppur lontano dall’essere una scopiazzatura, contiene in sè quell’ebreitudine un po’ fantastica che qui la fa da padrone. Credo che tendenzialmente nella letteratura ci siano corsi e ricorsi, somiglianze, perchè alla fine i miti, le leggende e le tradizioni hanno una radice comune, le unioni delle varie culture e la loro diffusione porta inevitabilmente ad una mescolanza di generi e stili e di influenze nei vari campi artistici. Più libri si leggono e più credo sia normale trovare somiglianze tra autori e romanzi.
Premesse queste similitudini torno a Jodorowsky, il quale purtroppo manca della leggerezza di Marquez, alcuni passaggi, in cui si scende in particolari che solo un cultore dell’ebraismo forse può apprezzare, a me sono rimasti pesanti, così come certe parti di vaneggiamento fantastico che ho trovato eccessivo per i miei gusti. Comunque la cosa che più mi ha influenzata nell’abbandonare questo libro dopo un centinaio di pagine è la sua truculenza: incesti, violenze, stupri, descrizioni di interiora e così via, che, seppur scritti con una certa poesia, mi hanno disgustata. Ho provato a sbirciare più avanti nella storia, per vedere se l’efferatezza si attenuasse, ma non è così e così ho deciso di interrompere questa lettura che per la mia sensibilità è un po’ troppo forte, peccato. 


venerdì 25 aprile 2014

Il cappotto di Gogol

Copertina di Il cappotto

Piccola incursione nella Russia ottocentesca (3,5 stelle) 
Con questo breve ma intenso racconto mi sono accostata per la prima volta a Gogol. Chi segue la mia libreria sa che non ho una particolare passione per i classici, tuttavia, se ne ho l'occasione, mi pare giusto farne almeno un piccolo assaggio.
Ho avuto la possibilità di "leggere" questa novella tramite un audiolibro, forse altrimenti non l'avrei letta, mi sono accomodata in giardino e me la sono fatta raccontare.
La storia narra di un uomo insignificante, dedito al lavoro, che cessa di essere invisibile solo quando è sbeffeggiato dai colleghi, un poveraccio che deve fare la fame per mesi al fine di potersi far cucire un cappotto nuovo e che quando finalmente può indossarlo glielo rubano. Questo racconto riesce in pochi tocchi a dare un'idea della Russia dell'epoca ma soprattutto delle picolezze umane che invece sono di ogni tempo, di come un cappotto nuovo possa far sentire finalmente importante chi lo indossi, di come la prepotenza spesso abbia la meglio sul debole e di come sia sufficiente ricoprire una carica di prestigio per diventare superbi e insensibili.
Lo stile non è pesante e nonostante l'argomento sia tragico Gogol lo espone con ironia. Ripensando al povero protagonista mi viene in mente la figura tragicomica del nostrano ragionier Fantozzi, antieroe di molti film anni '70 e '80, al quale capita di tutto e di più nel momento in cui prova ad elevarsi dalla vita miserevole che conduce.
Cambiano i modi di raccontare certi personaggi e certe situazioni ma evidentemente le miserie e le nobiltà della natura umana restano invariate e continuano ciclicamente ad ispirare gli autori.

Citazioni:

"Vedete fino a qual punto, nella Santa Russia, tutti sono contaminati dall'imitazione: ciascuno mette in ridicolo il proprio superiore – e poi lo scimmiotta."

"Si dileguò, scomparve un essere che non era protetto da nessuno, a nessuno caro, e che non interessava nessuno; che non aveva richiamato su di sé l'attenzione neppure del naturalista, il quale non manca di infilzare nello spillo anche una comune mosca e studiarla al microscopio; un essere che aveva sofferto umilmente ogni beffa dei compagni d'ufficio, e che era disceso nella tomba senza aver compiuto nulla di notevole nella vita, ma a cui, tuttavia, sia pure all'estremo declino della vita, era comparso fuggevolmente l'ospite luminoso nelle parvenze di un cappotto, ravvivando per un fugace istante la sua misera esistenza;"

" La sua conversazione abituale con gli inferiori si distingueva per la severità, e consisteva quasi esclusivamente di tre frasi: «Come osa?» «Sa lei con chi parla?» «Capisce lei davanti a chi si trova?». Del resto era nell'anima un buon uomo, bravo con i compagni, servizievole; ma il grado di generale lo aveva completamente tolto di senno"

giovedì 24 aprile 2014

Rosso Istanbul di Ferzan Ozpetek

Copertina di Rosso Istanbul

Quando la leggerezza è consistente. (4,5 stelle) 
Ferzan Ozpetek mi piace, mi è sempre piaciuto. Apprezzo il suo sguardo lieve e malinconico, il suo saper parlare di amore senza distinzioni di sesso, le sue storie spesso al limite del reale e allo stesso tempo verosimili, la commistione di cultura che si evince dai suoi film frutto delle sue due patrie: la Turchia e l’Italia.
Ovviamente parlo di Ozpetek come regista perchè ho visto tutti i suoi film, il Ferzan scrittore lo conosco meno per ovvi motivi, questa è la sua opera prima, comunque anche nel suo libro ho ritrovato lo stile che lo contraddistingue e i suoi temi cinematografici: l’amore, l’amicizia, la famiglia, la società.
Dal punto di vista formale non mi sento di gridare al capolavoro anche se si tratta di un romanzo molto piacevole.
Dal punto di vista della storia invece posso dire che mi pare un libro molto bello e vero, dove l’autore si apre senza pudori e ci mostra il suo mondo, sprazzi della sua vita, piccoli particolari che me lo fanno amare ancora di più.
Inutile dire che spero che “Rosso Istanbul” diventi anche un film, se non altro per rivedere il mitico Pera Palace dove ho alloggiato molti anni fa e rivivere l'atmosfera di questa città affascinante.
Voglio concludere dicendo che daa questo romanzo esce non solo un bel racconto, ma anche una bella persona, della quale sarebbe bello essere amici, poter far parte degli invitati alla sua tavola, accogliente sia di cibo che di sentimenti veri.

Citazioni:

“Mi spiegò, con calma, che non c’erano assassini, che quelle erano bugie, che non c’è da aver paura dei nostri vicini di casa, o di banco, o di confine. C’è da aver paura solo dell’odio e dei pregiudizi. “ 

“Ci sono persone troppo fragili, ed è proprio questa la loro debolezza ma anche la loro bellezza: un’immensa fragilità, quasi fossero fatti di cristallo, così trasparenti e luminosi, ma difficili da maneggiare, anche per gli altri. Non resistono agli urti della vita, agli ostacoli, agli ammaccamenti, alle cadute.”

«Lo sapevi che in Giappone, quando si riparano le ceramiche rotte, non si nasconde il danno ma lo si sottolinea, riempiendo d’oro le linee di frattura?» le chiede Gül distogliendola dai suoi pensieri. «Perché credono che quando qualcosa ha subìto un danno e ha una storia, diventi più bella. Riluci d’oro dove la vita ti ha scheggiato. Se solo fosse vero, se funzionasse davvero così... »” 

“A volte, quando siamo tutti seduti lì, e siamo giunti agli ultimi bicchieri, al dolce, alla chiacchiera per la chiacchiera, mi allontano un attimo, con la scusa di fare qualcosa nella stanza accanto. Poi rimango sulla soglia, in penombra, a guardarli. Mi conforta osservarli in silenzio, sapere che ci sono; scivolare per un momento fuori dalla mia vita e guardarla come se fossi un estraneo.” 

lunedì 21 aprile 2014

Bartleby, lo scrivano di Herman Melville


E bravo Melville...
Copertina di Bartleby, the scrivenerHo scelto questo piccolo libro contenente tre racconti per accostarmi a Melville, per avere una minima idea degli argomenti e dello stile di questo famosissimo e classico scrittore.
Sono rimasta molto colpita ed ho apprezzato sia le tematiche trattate sia lo stile letterario. Ho avuto anche la possibilità, grazie all’edizione bilingue di Einaudi, di avere delucidazioni sulla traduzione e vedere quanto la stessa sia più o meno fedele al testo originale. E’ interessante vedere come la traduzione, pur non alterandone il senso, modifichi la forma della frase, offra caratteristiche stilistiche talvolta diverse da quelle dell’autore diventando una “ipertraduzione” che sinceramente a me un po’ infastidisce.
Dei tre racconti l’unico che non ho apprezzato è “Il paradiso degli scapoli” che, seppur scritto in modo amabile, ho trovato piuttosto frivolo e noioso.
“Bartleby, lo scrivano” mi ha affascinata e “Tartaro delle fanciulle” mi ha colpita per la precisa denuncia sociale che ne emerge, una descrizione precisa, quasi tagliente, di vite femminili annullate dal lavoro in una cartiera, della crudeltà della miseria, della povertà che costringe a lavori malsani.

Bartelby è una figura singolare che dal poco finisce al meno, viene definito bizzarro dall’io narrante che ne resta destabilizzato, combattuto tra la pena e la rabbia di fronte ad un atteggiamento così apatico e al tempo stesso irremovibile.
Guardando il racconto alla luce delle scoperte mediche dei giorni nostri mi viene da pensare che il povero Bartelby non sia altro che un depresso grave, un muro di gomma contro cui ogni tentativo di aiuto rimbalza malamente. Il depresso non è ragionevole, e per chi tenta di avvicinarlo per dargli una mano la missione non è facile, nel caso di Bartleby impossibile. Il brav’uomo che ci racconta la storia ha trovato con gli altri suoi impiegati, anche loro bizzarri devo dire, una formula per ottenere il meglio da loro o se non altro per limitare i danni che i loro lati peggiori possono fare, con Bartleby non ci riesce perché non c’è comunicazione. Bartleby si oppone limitandosi al suo “preferirei di no” senza fornire spiegazione alcuna. La resistenza passiva può essere un’arma terribile se non si trova il sistema per aprire un varco nel muro.
Il racconto ha uno stile piacevole ed un bel ritmo che nonostante la ripetitività di ciò che si racconta tiene desti e interessati a vedere come andrà a finire.
Posso dunque affermare che il mio avvicinamento a Melville sia andato a buon fine.

Le citazioni, a causa della mia pigrizia nel trascriverle, saranno fotografiche.

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Tartaro delle fanciulle

mercoledì 16 aprile 2014

Borgo Propizio di Loredana Limone

Copertina di Borgo Propizio

Ma che Caruccio!!!
Non mi aspettavo niente di diverso quando mi sono apprestata a leggere "Borgo Propizio", dunque né sorprese né delusioni.
Una storia carina che sarebbe perfetta per una trasposizione cinematografica di Leonardo Pieraccioni, personaggi caratteristici, una bella ambientazione et voilà, la commedia è servita!
Questo è un libro che ho scelto per riposarmi dopo una serie di letture opprimenti e faticose ed ha assurto perfettamente alla sua funzione in modo più che decoroso, funzione che doveva essere solo ed esclusivamente di svago.
Lo stile è piacevole e ironico, semplice senza essere sciatto.
Consigliato a chi vuole staccare la spina al cervello per un paio di giorni.

p.s. Ho avuto modo di scambiare due parole con l'autrice su Facebook, si è rivelata una persona deliziosa e simpatica, desiderosa di scambio alla pari con i lettori, insomma, una che non se la tira per niente! E devo dire che solo per questo si meriterebbe 5 stelle!

lunedì 14 aprile 2014

La casa di carta di Carlos Marìa Dominguez

Copertina di La casa di carta

Bulimia di libri
Un libro che si legge in un soffio, 85 pagine che solo chi ha una malattia per i libri credo possa apprezzare, una folata di vento che porta con sé le manie e le idiosincrasie chi soffre di "librite cronica" raccontate con una vena surreale e concreta allo stesso tempo.
Una casa costruita interamente di libri, una pazzia, una bulimia, una metafora sull'immortalità della parola scritta, una storia d'amore malsana e di possesso che solo chi accumula libri può comprendere.
Descritto così questo racconto può sembrare opprimente e patologico, e invece l'ho trovato arioso: carta, cemento, sabbia, vento mare e parole si mescolano tra loro dando vita ad una sorta di favola, malinconica ed originale.
Nella prima pagina leggiamo subito "I libri cambiano il destino delle persone", a questa frase seguono inaspettatamente esempi  comico-tragici su come questi possano agire sulle nostre vite anche in modo  pratico, ma essendo un libro così piccino non voglio anticipare altro.
L'unico difetto che posso trovare, difetto che in realtà non sta nel libro bensì nella mia ignoranza, è la citazione di molti scrittori a me sconosciuti, riferimenti forse ignoti al lettore medio che tolgono un po' di fluidità al racconto e che se da un lato fanno venir voglia di colmare le lacune dall'altro sgomentano con la sensazione di quanto vasta possa essere la letteratura.

Citazioni:
"I libri restano con noi in virtù di un patto di necessità e di oblio, come testimoni di un momento delle nostre vite al quale non ritorneremo."

"Noi lettori curiosiamo nella biblioteca degli amici, anche solo per distrarci. A volte per scoprire un libro che vorremmo leggere e non possediamo, altre solo per capire di cosa si nutre l'animale che abbiamo di fronte."

domenica 13 aprile 2014

I Piccoli maestri di Luigi Meneghello

Copertina di I piccoli maestri

Una visione della Resistenza
Se devo dare un giudizio spassionato su questo libro devo dire che non mi è piaciuto. 
Seppur riconosca che il suo valore intrinseco storico e letterario sia alto per me è stata una storia noiosa, resa accettabile solo dalla partecipazione al gruppo di lettura su Twitter. La cosa più bella di questa situazione è stato cercare le foto nella mia scatola dei ricordi in modo da poterle abbinare alle citazioni.
Il fatto che abbia ascoltato in famiglia storie di guerra raccontate dai nonni e dai genitori alle quali mi sono appassionata, non significa che voglia conoscere così tanti dettagli sulla resistenza e quel periodo storico in genere, preferisco fermarmi ai ricordi ascoltati durante l'infanzia come se fossero novelle, mi culla lasciare certe storie avvolte in una patina di vecchiume e di fascino.
Il libro è scritto in una forma semplice e diretta, con fraseggi colloquiali e dialettali che calano perfettamente nella vicenda e nell'humus culturale, senza falsi moralismi e senza innalzare i protagonisti ad eroi, bensì mettendo in evidenza l'umana natura di ognuno, sottolineando la normalità, in un certo senso il ritrovarsi in una situazione quasi senza aver voluto, e questo è ciò che mi è piaciuto maggiormente.
Non nego che in diversi punti ho saltato qualche passaggio per arrivare più velocemente verso la fine, è stata più che una lettura di piacere una lettura di dovere finalizzata alla partecipazione alla Storify di @Tworeaders. Questo libro non mi ha colpita, ma, come torno a ripetere, si tratta di una questione di mancanza d'interesse verso l'argomento e non certo una critica al valore dell'autore e del suo romanzo autobiografico.
In questo caso le Citazioni sono quelle fotografiche che ho realizzato per la Twittlettura.
A questo link la Storify del gruppo lettura @tworeaders