lunedì 21 aprile 2014

Bartleby, lo scrivano di Herman Melville


E bravo Melville...
Copertina di Bartleby, the scrivenerHo scelto questo piccolo libro contenente tre racconti per accostarmi a Melville, per avere una minima idea degli argomenti e dello stile di questo famosissimo e classico scrittore.
Sono rimasta molto colpita ed ho apprezzato sia le tematiche trattate sia lo stile letterario. Ho avuto anche la possibilità, grazie all’edizione bilingue di Einaudi, di avere delucidazioni sulla traduzione e vedere quanto la stessa sia più o meno fedele al testo originale. E’ interessante vedere come la traduzione, pur non alterandone il senso, modifichi la forma della frase, offra caratteristiche stilistiche talvolta diverse da quelle dell’autore diventando una “ipertraduzione” che sinceramente a me un po’ infastidisce.
Dei tre racconti l’unico che non ho apprezzato è “Il paradiso degli scapoli” che, seppur scritto in modo amabile, ho trovato piuttosto frivolo e noioso.
“Bartleby, lo scrivano” mi ha affascinata e “Tartaro delle fanciulle” mi ha colpita per la precisa denuncia sociale che ne emerge, una descrizione precisa, quasi tagliente, di vite femminili annullate dal lavoro in una cartiera, della crudeltà della miseria, della povertà che costringe a lavori malsani.

Bartelby è una figura singolare che dal poco finisce al meno, viene definito bizzarro dall’io narrante che ne resta destabilizzato, combattuto tra la pena e la rabbia di fronte ad un atteggiamento così apatico e al tempo stesso irremovibile.
Guardando il racconto alla luce delle scoperte mediche dei giorni nostri mi viene da pensare che il povero Bartelby non sia altro che un depresso grave, un muro di gomma contro cui ogni tentativo di aiuto rimbalza malamente. Il depresso non è ragionevole, e per chi tenta di avvicinarlo per dargli una mano la missione non è facile, nel caso di Bartleby impossibile. Il brav’uomo che ci racconta la storia ha trovato con gli altri suoi impiegati, anche loro bizzarri devo dire, una formula per ottenere il meglio da loro o se non altro per limitare i danni che i loro lati peggiori possono fare, con Bartleby non ci riesce perché non c’è comunicazione. Bartleby si oppone limitandosi al suo “preferirei di no” senza fornire spiegazione alcuna. La resistenza passiva può essere un’arma terribile se non si trova il sistema per aprire un varco nel muro.
Il racconto ha uno stile piacevole ed un bel ritmo che nonostante la ripetitività di ciò che si racconta tiene desti e interessati a vedere come andrà a finire.
Posso dunque affermare che il mio avvicinamento a Melville sia andato a buon fine.

Le citazioni, a causa della mia pigrizia nel trascriverle, saranno fotografiche.

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Bartleby, lo scrivano

cit. Tartaro delle fanciulle

mercoledì 16 aprile 2014

Borgo Propizio di Loredana Limone

Copertina di Borgo Propizio

Ma che Caruccio!!!
Non mi aspettavo niente di diverso quando mi sono apprestata a leggere "Borgo Propizio", dunque né sorprese né delusioni.
Una storia carina che sarebbe perfetta per una trasposizione cinematografica di Leonardo Pieraccioni, personaggi caratteristici, una bella ambientazione et voilà, la commedia è servita!
Questo è un libro che ho scelto per riposarmi dopo una serie di letture opprimenti e faticose ed ha assurto perfettamente alla sua funzione in modo più che decoroso, funzione che doveva essere solo ed esclusivamente di svago.
Lo stile è piacevole e ironico, semplice senza essere sciatto.
Consigliato a chi vuole staccare la spina al cervello per un paio di giorni.

p.s. Ho avuto modo di scambiare due parole con l'autrice su Facebook, si è rivelata una persona deliziosa e simpatica, desiderosa di scambio alla pari con i lettori, insomma, una che non se la tira per niente! E devo dire che solo per questo si meriterebbe 5 stelle!

lunedì 14 aprile 2014

La casa di carta di Carlos Marìa Dominguez

Copertina di La casa di carta

Bulimia di libri
Un libro che si legge in un soffio, 85 pagine che solo chi ha una malattia per i libri credo possa apprezzare, una folata di vento che porta con sé le manie e le idiosincrasie chi soffre di "librite cronica" raccontate con una vena surreale e concreta allo stesso tempo.
Una casa costruita interamente di libri, una pazzia, una bulimia, una metafora sull'immortalità della parola scritta, una storia d'amore malsana e di possesso che solo chi accumula libri può comprendere.
Descritto così questo racconto può sembrare opprimente e patologico, e invece l'ho trovato arioso: carta, cemento, sabbia, vento mare e parole si mescolano tra loro dando vita ad una sorta di favola, malinconica ed originale.
Nella prima pagina leggiamo subito "I libri cambiano il destino delle persone", a questa frase seguono inaspettatamente esempi  comico-tragici su come questi possano agire sulle nostre vite anche in modo  pratico, ma essendo un libro così piccino non voglio anticipare altro.
L'unico difetto che posso trovare, difetto che in realtà non sta nel libro bensì nella mia ignoranza, è la citazione di molti scrittori a me sconosciuti, riferimenti forse ignoti al lettore medio che tolgono un po' di fluidità al racconto e che se da un lato fanno venir voglia di colmare le lacune dall'altro sgomentano con la sensazione di quanto vasta possa essere la letteratura.

Citazioni:
"I libri restano con noi in virtù di un patto di necessità e di oblio, come testimoni di un momento delle nostre vite al quale non ritorneremo."

"Noi lettori curiosiamo nella biblioteca degli amici, anche solo per distrarci. A volte per scoprire un libro che vorremmo leggere e non possediamo, altre solo per capire di cosa si nutre l'animale che abbiamo di fronte."

domenica 13 aprile 2014

I Piccoli maestri di Luigi Meneghello

Copertina di I piccoli maestri

Una visione della Resistenza
Se devo dare un giudizio spassionato su questo libro devo dire che non mi è piaciuto. 
Seppur riconosca che il suo valore intrinseco storico e letterario sia alto per me è stata una storia noiosa, resa accettabile solo dalla partecipazione al gruppo di lettura su Twitter. La cosa più bella di questa situazione è stato cercare le foto nella mia scatola dei ricordi in modo da poterle abbinare alle citazioni.
Il fatto che abbia ascoltato in famiglia storie di guerra raccontate dai nonni e dai genitori alle quali mi sono appassionata, non significa che voglia conoscere così tanti dettagli sulla resistenza e quel periodo storico in genere, preferisco fermarmi ai ricordi ascoltati durante l'infanzia come se fossero novelle, mi culla lasciare certe storie avvolte in una patina di vecchiume e di fascino.
Il libro è scritto in una forma semplice e diretta, con fraseggi colloquiali e dialettali che calano perfettamente nella vicenda e nell'humus culturale, senza falsi moralismi e senza innalzare i protagonisti ad eroi, bensì mettendo in evidenza l'umana natura di ognuno, sottolineando la normalità, in un certo senso il ritrovarsi in una situazione quasi senza aver voluto, e questo è ciò che mi è piaciuto maggiormente.
Non nego che in diversi punti ho saltato qualche passaggio per arrivare più velocemente verso la fine, è stata più che una lettura di piacere una lettura di dovere finalizzata alla partecipazione alla Storify di @Tworeaders. Questo libro non mi ha colpita, ma, come torno a ripetere, si tratta di una questione di mancanza d'interesse verso l'argomento e non certo una critica al valore dell'autore e del suo romanzo autobiografico.
In questo caso le Citazioni sono quelle fotografiche che ho realizzato per la Twittlettura.
A questo link la Storify del gruppo lettura @tworeaders



venerdì 11 aprile 2014

La lunga attesa dell'angelo di Melania Mazzucco

Copertina di La lunga attesa dell'angelo

Appassionante
Resto stupefatta dalla capacità della Mazzucco di calarsi in panni non suoi. Jacomo Robusti detto Tintoretto è così credibile, così appassionato e reale che sembra essere davvero lui a parlarci, pare di leggere il suo diario e non una ricostruzione romanzata della sua vita ad opera di una scrittrice dei giorni nostri. L’autrice si è documentata moltissimo e i fatti narrati sono reali, ovviamente le considerazioni del pittore, i sentimenti esposti durante il delirio nella quale ripercorre tutta la sua vita, sono filtrati dalla capacità letteraria della Mazzucco e dal suo fervido potere immedesimativo.
I libri così lunghi mi sgomentano, vanno a mettere alla prova il mio lato impaziente e sbrigativo del sapere tutto subito. Questo non ha fatto eccezione. Quando mi apprestavo ad aprirlo per leggerlo percepivo la fatica e la smania di avere ancora molte pagine davanti, poi iniziavo e vi trovavo talmente tante verità che la lunghezza cessava di essere un problema.
Tuttavia, in questo romanzo, la Mazzucco, un pochino più concisa avrebbe potuto essere,  senza nulla togliere alla completezza del racconto, ma credo che sia una caratteristica dell’autrice una certa esagerazione, ridondanza, quasi ai limiti dell’eccesso. “La lunga attesa dell’angelo” è un libro barocco, più nel contenuto che nella forma.
Le parti del romanzo inerenti le considerazioni pittoriche sono quelle che maggiormente mi hanno coinvolta, forse perché in qualità di artista mi sento chiamata in causa. Molte affermazioni  di Jacomo in tema di pittura le ho sentite mie, mi ci sono rispecchiata come se l’autrice attraverso di lui avesse dato voce ai miei pensieri, come se alcune sue affermazioni fossero la spiegazione logica dei miei dipinti, dei miei ritratti. Lungi dall’avere la bravura e la fama di Tintoretto mi sono comunque rispecchiata nel suo bisogno di trovare un’essenzialità delle cose, nel cogliere l’umanità e non la solennità del ritratto, nel dare dignità anche alla gente comune attraverso la pittura, proprio ciò che sto facendo nel mio ultimo progetto pittorico.
Molto interessante la fotografia che la scrittrice ha fatto di Venezia, non solo dal punto di vista paesaggistico, bensì vedendola dall’ottica socio-politica. Ha fatto una descrizione ( di cui riporto subito sotto un’estratto) di un’attualità sconcertante, Venezia come l’Italia di oggi, certi meccanismi che si ripetono all’infinito nel corso dei secoli, meccanismi tipici dell’uomo evidentemente, visto che pur passando il tempo gli errori e le brutture sono gli stessi, senza correzione possibile.
“Dove la nascita decide il futuro delle persone più del loro talento. Dove i vecchi ostacolano i giovani, li riempiono di occasioni di svago e di piacere perché essi dimentichino di crescere e di soppiantarli. Dove a trent'anni ti considerano ancora una giovane promessa e ti rispettano solo quando ostenti i tuoi capelli bianchi.” Cit.

Belle anche le parti in cui si analizza il rapporto con i numerosi figli, rapporto per lo più inesistente con molti di essi, perché alla fine l’arte è tiranna, ti vuole tutta per se, ti prosciuga e finisce che per i rapporti umani ti restano poco tempo e poche energie. Il passaggio in cui parla delle figlie chiuse in monastero è tristissima, donne intelligenti tolte alla loro vita a causa dell'indifferenza del padre e dei costumi dell’epoca. Jacomo durante l’agonia si rammarica di questi suoi errori con i figli, ma ormai è troppo tardi per rimediare. La parte che ho apprezzato di meno è quella inerente il rapporto di affetto smodato e patologico per la figlia Marietta, l’unica veramente amata, amata troppo e in modo errato, pagine alla lunga ossessive e stancanti.
Nonostante alcuni frammenti un po’ sovrabbondanti comunque nel complesso questo è un libro molto bello, che consiglio a chi ama la pittura e le storie a tinte forti, dove le passioni non sono mai tiepide e dove gli accadimenti sono spesso crudeli.
Con le citazioni ho ecceduto, ma non potevo fare altrimenti, quelle evidenziate in neretto le sento talmente mie che è come se la Mazzucco mi avesse letto nel pensiero.

Citazioni

“È deludente il momento in cui scopri che la tua opera non ti appartiene più. Che non è affatto ciò che doveva essere - non è nemmeno la brutta copia delle tue intenzioni - ma che non potrà mai essere nient'altro.”

“Non ho preso più impegni da quando ho cominciato a temere di non poterle mantenere.”

“Io ero appena diventato me stesso. Vivevo per dipingere.… Mi liberavo di tutto ciò che avevo appreso, del desiderio di stupire, della paura di dispiacere, della necessità di dimostrare - citando gli altri esiti dei miei predecessori - ciò di cui ero capace.”

“Volevo lasciare il segno del mio passaggio sulla terra, ma avevo scelto di farlo creando non procreando.”

“È come se guardassi i miei modelli troppo da vicino, dal buco della serratura senza differenza e senza rispetto.”

“... la verità delle cose si nasconde nella loro apparenza, o forse è proprio allora apparenza: ma ha ragione, guardo le creature troppo da vicino, senza rispetto. Perché è così che guardo me stesso.”

Il processo di semplificazione richiede una vita intera… Una pupilla e la piega di una bocca mi bastano a raccontare che cosa è un uomo.”

“Ho lavorato tanto troppo, forse. Solo in quel modo, però, avevo l'illusione di bloccare la ruota, incastrare gli ingranaggi, dire alla vita: fermati. Solo dipingendo credevo di vivere, Signore.”

“Trovo fastidiosi i bambini. I loro capricci, la loro crudeltà, vigliaccheria e impotenza mi deprimono. Ho penato per imparare a dipingerli, perché tutti i bambini si somigliano, in fondo. Gli adulti sono talmente più interessanti. È la vita trascorsa che rende le persone uniche.

“Solo i giovani sprofondano regolarmente nell'incoscienza: essi non temono di non destarsi l'indomani.”

“Alla gente sembra naturale pagare un marinaio per pilotare una barca o il falegname che gli aggiusta un tavolo, non un artista che ti abbellisce un salotto, un palazzo o lo Stato - e forse ti farà vivere quanto le tue ossa saranno cenere. Non c'è niente di più umiliante che chiedere ciò che ti è dovuto, Signore.”


Si sorprese che un soggetto così volgare ripugnante potesse costituire invece la materia di un'opera d'arte.<…> ho reso eterni tutti gli ammalati senza nome che hanno sofferto la malattia e tutte le malattie e tutti i dolori e tutte le sofferenze e le umiliazioni che il corpo morente procura. Quegli ammalati sono degni di figurare nell'opera di un grande artista.”

“Diventare così vecchi come sono io significa restare soli. Significa perdere non solo coloro che ci hanno amato o che abbiamo amato, ma perdere perfino il mondo in cui abbiamo vissuto e ritrovarsi in un mondo diverso e nuovo e incomprensibile come un continente sconosciuto. Al quale tentiamo di abituarci ma che non sarà mai il nostro.”

“E dipingere un essere umano vero, un essere umano qualunque - non un personaggio della mitologia o della religione - ti dà una responsabilità che non si può paragonare niente. Perché, alla fine, siamo noi accogliere la sua bellezza, cioè la sua verità. Siamo noi a farlo vivere.”



lunedì 7 aprile 2014

Splendore di Margareth Mazzantini

Copertina di Splendore

*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***

L'esagerazione di Margareth (3,8 stelle)

Premessa e pippe mentali
Se non avessi letto “Splendore” della Mazzantini subito dopo “L’amica geniale” della Ferrante e “Un’esperienza personale” di Kenzaburo avrei reagito allo stesso modo? Avrei provato ugualmente quel senso di fastidiosa sopportazione di fronte all’ennesima violenza, all’ennesima storia che parte dall’infanzia, all’ennesimo personaggio masochista? A volte mi pare che il caso mi guidi a libri collegati tra loro da un filo conduttore, che per quanto esile possa essere, questo filo c’è, e talvolta mi infastidisce, soprattutto quando vorrei staccare da un argomento e invece me lo ritrovo, magari camuffato, nel libro successivo. Per questo non mi è chiaro quanto il mio giudizio su un romanzo sia influenzato dal clima mentale in cui viene a capitarmi tra le mani. Provo certe sensazioni a causa del libro in sé oppure a causa di una concatenazione di letture? Per quanto doloroso, ho amato “Venuto al mondo” della Mazzantini, i personaggi mi erano entrati dentro, vivevo con loro, ero empatica... In “Splendore” provo quasi un disgusto, una nausea, una sensazione di già letto, già sentito, una mal sopportazione per l’uso smodato di parole forti, lo trovo eccessivamente drammatico, scarno a tratti e ridondante allo stesso tempo. Sono stanca di sesso al limite, di masochismo, di discese agl’inferi... Ma è il libro in se che mi stanca o la serie di letture in sequenza?
Avevo a malapena sopportato il libro di Kenzaburo (vedi commento) e adesso mi trovo di nuovo allo stesso punto con la Mazzantini. La copertina del libro, il titolo mi hanno fuorviata, chissà perché mi aspettavo un libro diverso, ma colpa mia, come potevo aspettarmi dalla cara Margareth qualcosa di delicato e leggero? Volevo depurarmi dalla giapponesità ( che devo prendere a piccole dosi) e me la ritrovo anche qui, anche se ammetto che in questo caso il personaggio giapponese è forse quello più positivo di tutto il romanzo. Volevo un libro “buono” e mi ritrovo di nuovo una storia crudele, estrema... Volevo qualcosa di originale e mi trovo una storia che all’inizio mi pare la versione maschile de “L’amica geniale” (vedi commento) e che alla fine mi ricorda un film da Oscar.

Commento
Dopo questa premessa un po’ logorroica da persona disturbata tento di parlare di “Splendore” senza riferimenti esterni.
Nel complesso posso definirlo un bel libro anche se me  lo aspettavo più insolito. Sicuramente leggere una storia d’amore omosessuale di per sé è  poco comune, ma tutto sommato l’innovazione forse è data maggiormente dal modo in cui si esprime ciò che si descrive rispetto al contenuto di ciò che si racconta. L’unicità è data da una sinergia tra forma e contenuto. In questo caso non ho trovato punti di vista particolarmente folgoranti, anche se ammetto che la Mazzantini è stata comunque brava a calarsi nei panni di un io narrante maschio e gay.
Il pregio maggiore del romanzo è forse anche il suo peggior difetto: l’esagerazione. Tutto è portato all’eccesso e se da un lato appassiona dall’altro stanca, le emozioni forti, se non dosate, alla lunga diventano un fiume in piena che travolge tutto e che anestetizza. Alla fine dei conti il personaggio che ho amato maggiormente è Izumi, figura apparentemente in secondo piano ma che al momento giusto sa mostrare una personalità forte e molto affascinante.
Interessante notare l’accusa nemmeno troppo velata al cattolicesimo che vede l’omosessualità come una malattia da curare, la contrapposizione tra Guido ateo e Costantino di tradizione cattolica ed il loro diverso approdo in merito al loro amore, il primo accetta la sua sessualità mentre il secondo la rifiuta come se fosse un male da cui è guarito grazie alla fede. Da notare anche che Guido, emigrato in Inghilterra, multietnica e in parte protestante, avrà una visione più aperta che lo porterà all’accettazione di sé rispetto a Costantino che rimane nell’Italia cattolica e  tradizionale.
Comunque, ripensando al libro a mente fredda, continuo ad avere la sensazione di già sentito, già visto... Un pensiero del protagonista nel finale mi ha ricordato enormemente la figura di Gep Gambardella de “La grande bellezza di Sorrentino”che ritorna sul luogo del suo amore giovanile, quello vero, l’unico, e mi sono chiesta se l’autrice sia stata influenzata dal film nella chiusura del suo romanzo : “Dovrei tornare nel punto dove la mia vita cominciò, la serratura cadde e la porta si aprì. Nell’estate della bellezza. ” (cit. Da Splendore)
Il giudizio complessivo tuttavia, nonostante le critiche appena mosse, rimane buono. Belle sono alcune frasi e alcuni concetti che riporto volentieri nelle citazioni.

Citazioni

“Mangiavo in cucina, cibi senza sostanza e senza sapore davanti a una domestica di spalle che rigovernava. Cambiò molte volte, ma per me fu sempre la stessa, una figura mite ma nemica che consentì a mia madre di abbandonarmi durante tutta l’infanzia.”

“...la sua fame da adulta era tutta volta verso quel pane squisitamente intellettuale che da bambina a casa sua, quella di un modesto casellante, le era così mancato.”

“Ero il bambino ideale per una domestica straniera, un corpo silenzioso, quasi invisibile. Se ne andavano verso la lavanderia afflitte dalla loro cupa nostalgia. Fu il primo esercizio umano che feci, affogare sotto quei grembiuli a quadretti, restare a distanza in compagnia di quelle vite distanti intere civiltà. Imparai che l’asse da stiro è il regno magico di queste vite, il calore unito all’iterazione del gesto consente loro astensioni totali dal reale, riagganciano il destino interrotto, una palafitta, un lurido mercato di semi e capre. A volte mi mostravano le fotografie dei loro figli, io guardavo quei musi messi in posa, incalliti di povertà.”

“Sentii il caldo della sua mano. Era quello che facevo da solo quando non riuscivo a dormire. La sua mano era liscia come farina. E non timida. Non era la mia mano, era un’altra storia. La stessa dolcezza, lo stesso vigore di quando arrotolava il tubo dell’acqua in cortile.”

“Sapevo che è sempre così, volti inutili diventano stampe indelebili e le persone che ami misteriosamente hanno il viso bruciato.”

“Tutte le relazioni d’amore nascono da una mancanza, ci immoliamo a qualcuno che semplicemente sa accomodarsi in questo spazio aperto e dolorante per farne quello che vuole: farci del bene oppure distruggerci. “

“Lo perdo perché si disperde tra gli altri. Dev’essere questo il senso di questa comunità, mischiarsi e approdare insieme. Una piazza di uccelli che si muovono all’unisono, si sollevano, si disperdono. <...> È un gesto che tutti fanno in questo posto, accolgono, tengono una mano su una spalla, su una testa. Ma io non avverto un vero calore umano, solo lo strofinio delle bestie quando entrano nella stalla e si scaldano, si accumulano.”