giovedì 23 luglio 2015

La bella di Lodi di Alberto Arbasino

La bella di Lodi
Editore: Adelphi (Gli adelphi, 215)

Lingua:Italiano | Numero di pagine: 168 | Formato: Paperback
Isbn-10: 8845917312 | Isbn-13: 9788845917318 |
 Data di pubblicazione: 01/09/2002 | Edizione 1






Decisamente no.


So che rischio il linciaggio a scrivere ciò che sto per scrivere ma il mio incontro con Arbasino non è stato felice. 
Capisco la sua finezza, capisco la capacità di rendere quasi in modo fotografico una certa Italia di un certo periodo, capisco la mancanza di volgarità nonostante un linguaggio esplicito...ma io non ho provato nessun piacere nel leggere questo romanzo. A dire il vero più che un romanzo vero e proprio è una sceneggiatura per un film e infatti da questo  nel 1963 il film omonimo La bella di Lodi, interpretato da Stefania Sandrelli.
Mentre leggevo vedevo le scene di un film appartenente ad un certo filone cinematografico di qualità degli anni 60 , lo squallore, il vuoto di un certo modo di vivere superficiale che mi hanno messo addosso solo malinconia; una leggerezza che da pesantezza all'anima. 
Con questo non voglio dire che il libro non mi sia piaciuto perché si tratta di un racconto malinconico, la malinconia forse ce la vedo soltanto io e comunque ho apprezzato letture da tagliarsi le vene, è lo stile, è l'argomento, è il romanzo nell'insieme che che si è rivelato una lettura spiacevole ma per fortuna breve.
Un libro che non lascia nulla se non un vago senso di fastidio.

Amatissima di Toni Morrison



Convincente solo in parte.


La mia infanzia è stata segnata emotivamente da due sceneggiati : "Radici" e "Olocausto".
All'epoca il bollino rosso in Tv non esisteva, quel che passava il convento lo si guardava e nessuno avvisava che la visione avrebbe potuto essere difficile per un bambino o che i genitori avrebbero dovuto filtrare certe storie e immagini...così io mi sono bevuta situazioni che hanno traumatizzato la mia giovane mente come se fossero acqua; fatto sta che quando si parla di sterminio degli ebrei o di schiavitù dei neri in me si apre una voragine di dolore e il rifiuto di tali argomenti. 
Probabilmente se invece di leggere "Amatissima" al buio avessi guardato almeno di cosa parlasse avrei evitato... ma ormai è tardi, mi sono fatta fregare.
Si tratta di un libro doloroso, ben raccontato, nel quale si percepisce la sofferenza che certe popolazioni hanno dovuto affrontare, ma la si percepisce soltanto in parte a mio avviso, perché Toni Morrison ha il pregio di srotolare la storia in modo comunque discreto, fa arrivare alle verità per gradi e senza sbatterla in faccia con violenza alla prima occasione. Il pregio massimo del romanzo, secondo la mia opinione, è proprio il raccontare certe verità pur lasciano un velo di pudicizia, una sottile linea che non viene oltrepassata e che non fa scadere la vicenda in una mera sequela di fatti orrendi. Probabilmente questo modo di narrare è reso dolce anche dalla parte un po' esoterica che troviamo in tutta la storia, quel lato misterioso in cui i morti si confondono con i vivi, un realismo magico che troviamo anche in molti altri autori ( l'esempio più famoso è forse nell'america latina con Garcia Marquez) ma che qui ha una connotazione ben precisa, quella propria sviluppatasi tra le popolazioni di colore deportate in schiavitù in America.
Tuttavia è proprio la parte esoterica a non convincermi al cento per cento, tutto questo dolore, tutta questa realtà che vengono a galla forse grazie alla  figura di Beloved che reale non è...o forse lo è? La mia mente è più pragmatica di quanto sembri e forse non accetta di non avere spiegazioni tangibili e chiare ad una storia che avvolge e stordisce, che porta a respirare l'aria della schiavitù e del sangue.
Resta il fatto che si tratta di un romanzo affascinante anche se non incarna certo i generi letterari che preferisco in questo periodo della mia vita.
Per chi non ha tempo di leggere ne suggerisco l'ascolto nella bella versione di Ad Alta Voce, il Podcast di Radio Tre.

CITAZIONI

Citazioni da "Amatissima" di Toni Morrison su dipinto di Monica Spicciani
Citazioni da "Amatissima" di Toni Morrison su dipinto di Monica Spicciani

“Ha avuto una morte dolce come il miele. La pena è stata vivere;”

"«Quello è il diavolo che ci mette lo zampino. Fin quando sto male, mi dà l’aria di uno che sta
bene.»"

"Certe cose passano e se ne vanno.
Altre restano. Pensavo che era colpa della mia memoria. Lo sai, no, ci sono delle cose che si
dimenticano e altre che non si dimenticano mai. Ma non è così. I posti, i posti sono sempre lì.
Se il fuoco brucia una casa, la casa sparisce, non c’è più, però il posto – l’immagine del posto –
rimane, e non solo nella mia memoria, ma fuori, nel mondo. Quello che mi ricordo è
un’immagine che ondeggia fuori della mia testa. Mi spiego: anche se non la penso, anche se
muoio, l’immagine di quello che ho fatto, che ho saputo, che ho visto è sempre lì. Proprio nel

posto dov’è successa."

"Non c’era niente di meglio per cominciare il vero lavoro della giornata:ricacciare indietro il passato."

"Sta’ attenta. Sta’ attenta. Non c’è niente di più pericoloso al mondo di un insegnante bianco»."




sabato 18 luglio 2015

Fahrenheit 451 di Ray Bradbury


Fahrenheit 451
La biblioteca di Repubblica - Novecento, 72

Di Ray Bradbury

Editore: Gruppo Editoriale L'Espresso
 

 Perchè ho aspettato tanto?  (4,7 stelle)

Talvolta si tende a snobbare i libri di cui si sente troppo parlare, spesso si pensa che ciò che fa troppo rumore alla fine si risolva in un fuoco d'artificio, ma il fatto che questo libro sia sulla breccia da anni avrebbe dovuto farmi pensare invece che si trattasse di una vera e propria bomba. 
Il pregio maggiore di Fahrenheit 451 è che i concetti qui espressi sono estremamente chiari e comprensibili da poter arrivare a chiunque; un libro profetico, ricco di spunti politico-filosofici scritto con una semplicità ed una scorrevolezza incredibili. Le prime due parti sono geniali, la terza parte è un po' più fiacca, soffre della necessità di trovare un finale palusibile, ma  poco toglie al valore dell'intero romanzo.
Quando Fahrenheit 451 fu scritto era annoverato nel genere fantascienza, ed è incredibile come spesso ciò che viene immaginato dalla mente umana prima o poi lo si possa realizzare, è pazzesco come la fantascienza, a distanza di anni, sia diventata realtà. Tra queste pagine ho ritrovato molto di ciò che accade oggi, le pareti schermo che assomigliano tanto al nostro essere sempre connessi con la tv e con i social, quest'informazione sempre più all'osso paragonabile a quella diffusa con Twitter... e molto altro ancora.
Questo è un libro che dice ATTENTI! OCCHI APERTI! 
La finzione  si sta rivelando sempre più reale e la cosa che mi spaventa è che il finale qui raccontato non è dei più auspicabili, ma sta diventando sempre più probabile se non ci diamo una svegliata collettiva.  
In Fahrenheit 451 i libri vengono visti come unico salvataggio possibile dell'umanità, non tanto in quanto oggetti in sé ma in quanto contenitori della conoscenza, dell'esperienza, dell'insegnamento a pensare e a diventare persone con senso critico. Di fatto l'unico modo di salvarci è mantenere la capacità di sviluppare ragionamenti, la cosa più scomoda che ci possa essere per chi detiene il potere, sia esso politico o economico.
Il libro è breve, si legge facilmente ed è un concentrato di riflessioni interessanti, ne consiglio la lettura a chiunque, ma soprattutto a chi si stordisce di cazzate dalla mattina alla sera pensando che lo rendano felice, NON PENSARE CI DA SOLO UNA CONTENTEZZA FATUA E INCONSISTENTE.
Per quanto riguarda le citazioni ne riporto solo alcune fotografiche, sarebbero molte di più a dire il vero, ma avrei dovuto fotografare quasi tutto il libro, per cui se quel poco che leggete vi piace passate al libro intero!

CITAZIONI
Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Cit. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

lunedì 13 luglio 2015

L'uno e l'altra : "La signora con il cagnolino" e "L'uomo nell'astuccio" di Anton Cechov

L'uno e l'altra

Audiolibro letto sulle musiche di Gianmaria Testa

Editore: Gruppo Editoriale l'Espresso SpA










Un assaggio che invoglia 

 


Un audiolibro contenente due racconti di Anton Cechov molto diversi da loro eppure entrambi molto belli: "La signora con il cagnolino" e "L'uomo nell'astuccio"
Il primo è improntato sull'analisi dei sentimenti, dell'amore e dell'attrazione, il secondo è una metafora sulla paura di vivere che porta a morire prima ancora di essere morti fisicamente, un invettiva verso le prigioni mentali che ci rovinano l'esistenza.
Devo dire che "L'uomo nell'astuccio" l'ho preferito soprattutto per l'originalità con cui il tema è stato affrontato, ma entrambi si sono rivelati l'ennesima scoperta dei classici di questo periodo, e devo ricredermi completamente sul timore che avevo che una certa letteratura fosse noiosa e stantìa, anzi, un classico chiama l'altro e la voglia di scoprire ancora su questo autore è forte.

CITAZIONI da "L'uomo nell'astuccio"

"si osservava in costui il desiderio irresistibile e costante di rannicchiarsi il più possibile in un guscio: di costruirsi, per dir così, un astuccio che lo isolasse e lo riparasse dagli influssi esterni"

"Le lingue antiche, che insegnava, erano per lui come le sue soprascarpe e il suo parapioggia, e di esse si faceva schermo contro la realtà della vita."

"Per lui erano chiare soltanto le circolari e gli articoli dei giornali in cui si vietava qualche cosa"

"Le infrazioni, di qualunque sorta fossero, le violazioni di regole acquisite, lo gettavano nell'abbattimento, anche quando non lo riguardavano affatto. "

"Dentro la bara aveva un'espressione dolce, gradevole, quasi lieta: come se egli fosse contento di essere finalmente stato messo dentro un astuccio da cui non sarebbe più uscito. Aveva raggiunto il suo ideale."

"E quando noi viviamo in città, allo stretto, senz'aria, quando noi scriviamo delle carte inutili, giochiamo a vint, non siamo forse in un astuccio?"

"e ingannare se stessi e sorridere: tutto ciò per un boccone di pane, per un cantuccio al focolare, per qualche titolo meschino che non vale un soldo."

domenica 12 luglio 2015

Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia


Titolo Il giorno della civetta
Editore Adelphi (collana Adelphi eBook)
Formato EPUB







Capolavoro assoluto  

Un'analisi lucida e perfetta condensata in un racconto, una storia emblematica in cui l'autore non ha potuto dire nemmeno tutto ciò che avrebbe voluto, perché quelli erano tempi in cui ancora non c'era la protezione, in cui la "mafia" non esisteva ufficialmente agli occhi dello stato.
Interessantissima la nota dell'autore che è la chiave di lettura di quest'opera.
Un libro da leggere almeno due volte per assaporarne a fondo la finezza ed il lavoro di cesello operato da Leonardo Sciascia, e se possibile ne consiglio anche l'ascolto della lettura fatta dallo splendido Toni Servillo sul sito di Alta Voce Rai.
Sinceramente questa perla della letteratura mi ha fatto venir voglia di leggere altro dello stesso autore, e allo stesso tempo mi ha fatto passare la voglia di parlarne, di farne un'analisi con commenti che sento sarebbero riduttivi. 
E' un libro talmente breve che consiglio di leggere e assaporare, e, non trovando le parole per esprimere ciò che mi abbia così tanto affascinato, lascio un po' di citazioni, che parlano da sole.

CITAZIONI

"Io non guardo mai la gente che c'è: mi infilo al mio posto e via... Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la strada"

“nessuno parla ma, per nostra fortuna, dico di noi carabinieri, tutti scrivono. Dimenticano di firmare, ma scrivono.”

“Ma dico: si è mai sentito uno sbirro parlare così a un galantuomo? È un comunista, solo i comunisti parlano così». «Non sono solo i comunisti, purtroppo: anche nel nostro partito ce ne sono che parlano così... ”

“cosca, gli avevano spiegato, è la fitta corona di foglie del carciofo”

“Ma è certo, comunque, che non l'ho scritto con quella piena libertà di cui uno scrittore (e mi dico scrittore soltanto per il fatto che mi trovo a scrivere) dovrebbe sempre godere.”

“«il sentire mafioso»: cioè di una visione della vita, di una regola di comportamento, di un modo di realizzare la giustizia, di amministrarla, al di fuori delle leggi e degli organi dello Stato.
Ma la mafia era, ed è, altra cosa: un «sistema» che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel «vuoto» dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma «dentro» lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta.”

"Nelle statistiche criminali relative alla Sicilia e nelle combinazioni del giuoco del lotto, tra corna e morti ammazzati si è istituito un più frequente rapporto. L'omicidio passionale si scopre subito: ed entra dunque nell'indice attivo della polizia; l'omicidio passionale si paga poco: ed entra perciò nell'indice attivo della mafia."

"Avrebbero dovuto darlo come precetto alla polizia, in Sicilia, pensava il capitano, bisognava non cercare la donna: perché si finiva sempre col trovarla, e a danno della giustizia."

"«Io» proseguì don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... [...]»"

"«La Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro a modo proprio» (Don Mariano)"

""Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma…"

venerdì 10 luglio 2015

Novecento di Alessandro Baricco

Novecento letto da Stefano Benni. Audiolibro. CD Audio formato MP3

Editore Feltrinelli
Formato Audiolibro
Pubblicato 04/05/2011
Lingua Italiano
ISBN-13 9788807735073


Ah baricco... 

Impossibile non affermare che questo monologo teatrale di Baricco sia eccellente. "Novecento" è un condensato di filosofia per certi versi, una grande metafora sulle paure umane, sulla vita e le sue incertezze; il discorso finale in cui il protagonista spiega all'amico perché non è voluto mai scendere dalla nave su cui era nato e su cui ha trascorso tutta la sua vita è stupendo. Ma Baricco si sa, è bravo, talmente bravo che mi sembra finto ed il primo amore provato per lui adesso è stato sostituito da una sorta di diffidenza. Non riesco a leggere questo autore e a sentirlo vero, ogni volta che mi accosto ad una sua opera ne percepisco il valore letterario e spesso inventivo, ma non riesco mai a provare un coinvolgimento tale da considerare i suoi testi capolavori veri e propri. E quando ti fai un'idea a pelle è difficile poi togliertela dalla testa, quando provi una sensazione che non sai spiegare non c'è scrittura perfetta o trama superba che tengano. Probabilmente i miei primi approcci con quest'autore sono stati migliori perché risalenti a qualche anno fa, mi mancava tutta una serie di libri che mi hanno portato ad una maturità di lettrice che adesso mi fa vedere Baricco con occhi diversi. Tornando a "Novecento" è sicuramente un ottimo prodotto letterario, e soprattutto ho avuto la possibilità di assaporarlo nell'interpretazione molto particolare dell'attore teatrale Eugenio Allegri , che sicuramente ha dato una connotazione personale e molto creativa all'opera.

domenica 5 luglio 2015

Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga


Mastro-don Gesualdo

Editore: Barbera
Lingua:Italiano | Numero di pagine: 587
Isbn-10: 8878991406 | Isbn-13: 9788878991408 | Data di pubblicazione: 

Qualunque cosa tu faccia...  


Mastro Don Gesualdo è un uomo che non ha trovato il suo posto nel mondo nonostante le sue grandi doti umane, né tra i poveracci né tra i ricchi e i nobili. Tutti hanno beneficiato della sua generosità e del suo lavoro, ciò nonostante  irridendolo sia dal basso che dall'alto. I nobili hanno accettato il suo denaro per rimpinguare le proprie casse disastrate ma non l'hanno accettato come persona, lo hanno deriso, si sono vergognati di imparentarsi con lui nonostante li abbia salvati dalla rovina. I poveri invece lo hanno odiato perché ce l'aveva fatta, perché con le sue proprie forze era riuscito a creare un impero,  l'invidia del popolino si è limitata a vedere solo una grande fortuna nell'ascesa economica di Gesualdo e non tutto il sacrificio e il lavoro da lui compiuti. Una storia crudele, specchio di una realtà dell'epoca ma sempre attuale, forse non nei particolari ma sicuramente in linea generale. Sempre di moda una grossa forma di snobismo, forse non più da parte dei nobili che sono sempre più "imbastarditi" ma sicuramente da parte dei nuovi ricchi verso chi ricco non è; ma c'è anche una sorta di snobismo al contrario, il povero  invidioso, e magari dalle scarse capacità, che mal tollera chi invece riesce ad emergere grazie alle proprie doti umane e una gorssa dose di forza di volontà. Di fatto tra certi mondi non si è mai trattato di un'incontro d'amore ma solo d'interesse, in certi ambienti ci devi nascere, e in un certo senso per essere apprezzato forse devi rimanere fedele alle modalità dell'ambiente da cui provieni e in cui devi restare, questo è il messaggio o meglio il monito che lancia questa storia. Tutto questo è molto triste, perché sta a significare che l'uomo per quanto faccia raramente potrà andare contro al suo destino già segnato dalla nascita. 
"Mastro Don Gesualdo" è il secondo libro di Verga che leggo, mi sono innamorata de "I Malavoglia" e subito dopo averlo terminato ho voluto leggere anche questo. "I malavoglia" forse mi è piaciuto di più da un punto di vista puramente letterario, questo invece si è rivelato più avvincente come trama, anche se non disdegno lo stile letterario nel quale si avverte una profonda cura. In questo romanzo si capisce ancora di più perché fanno parte de il ciclo dei vinti, se ne "I malavoglia" era normale e comprensibile subito che si trattava di persone vinte dalla vita qui la disfatta è più subdola e per questo più feroce. All'inizio mastro Don Gesualdo sembra un vincente riuscendo ad accumulare tanta roba, di fatto risulta più perdente in quanto tutto l'accumulo ottenuto durante la sua esistenza non gli sono serviti ad ottenere il rispetto e l'amore che avrebbe meritato.

CITAZIONI

“Senti... il mondo adesso è di chi ha denari... Tutti costoro sbraitano per invidia.”

“L'avete visto, eh, stasera?... che festa v'hanno fatto?... I vostri affari andrebbero a gonfie vele... Anche per quell'affare delle terre comunali... È meglio aver l'appoggio di tutti i pezzi grossi!...”

“Pazienza servire quelli che realmente son nati meglio di noi... <...> “Si vede com'era nato... — osservò gravemente il cocchiere maggiore. — Guardate che mani!

— Già, son le mani che hanno fatto la pappa!... Vedete cos'è nascer fortunati... Intanto vi muore nella battista come un principe!...”

Passi di: Giovanni Verga. “Mastro-don Gesualdo”

sabato 4 luglio 2015

Una famiglia americana di Joyce Carol Oates

Una famiglia americana

Lingua:Italiano | Numero di pagine: 506 | Formato: Copertina rigida

Isbn-10: A000179601 | Data di pubblicazione: 01/11/2004

Di Joyce Carol Oates

Editore: Mondolibri su licenza Il Saggiatore

Allontanarsi per salvarsi 

Continua la mia avventura nella letteratura americana contemporanea con questo romanzo che ho trovato  americano in ogni atomo della carta delle sue pagine.
Il mio giudizio complessivo è buono, la storia è appassionante, i personaggi sono ben delineati, i temi chiave della famiglia ci sono, tuttavia non posso dire di essermi innamorata del modo di scrivere della Oats. Contrariamente a ciò che ho letto in altre recensioni penso che qualche parola di troppo sia stata sprecata e che il libro in alcune parti sia leggermente appesantito dalla ripetizione di alcuni concetti già chiariti in precedenza.
L'operazione dell'io narrante maschile identificato nel figlio più giovane è riuscita solo in parte a mio parere, l'idea è ottima ed anche la resa degli stati d'animo del ragazzo, la sua visione dei fatti ricostruita a posteriori sono credibili, tuttavia a mio avviso si avverte che la scrittrice è femmina; la Oates non è riuscita a calarsi al cento per cento in Judd in quanto maschio e questo per me rovina un tantino la narrazione. Nel complesso si tratta di un'ottima storia che si legge volentieri anche se fa arrabbiare non poco la dinamica che si viene a creare in questa famiglia, in alcune parti chiudevo quasi con rabbia il libro chiedendomi che razza di amore fosse quello dei due genitori qui raccontati. Dal romanzo esce una famiglia dove i figli sono più maturi dei padri e delle madri, dove tutto va bene finché tutto va bene, dove la felicità si basa su equilibri fragilissimi che non appena vengono incrinati si cade nel baratro per non uscirne più. Di fatto la salvezza dei figli si concretizza nell'allontanamento dai genitori, nel rifarsi una vita in esilio e nel riavvicinarsi soltanto dopo che ognuno, da solo, ha trovato un proprio equilibrio e non certo grazie all'aiuto della genitura superficiale che si sono ritrovati.
Da questo libro esce una famiglia di apparenza, una società di apparenza, la famosa famiglia americana paragonabile alle case americane, costruite di assi di legno, belle e grandi di fuori ma che un soffio di vento un po' più forte fa volare via. Dal racconto esce però anche una realtà (positiva?) che non è propria del contesto italiano in cui vivo, una realtà da cui forse dovremmo imparare, ed è la velocità di crescita delle persone. In America i ragazzi crescono presto, si laureano presto e si avviano all'indipendenza presto. A vent'anni sono già adulti e vanno per la loro strada; la domanda però è questa : in America si lascia presto la famiglia perchè si è liberi prima oppure la si lascia perchè non offre la protezione e la sicurezza che solitamente troviamo nella cultura italiana? Cosa è meglio? Queste considerazioni porterebbero ad un discorso sociologico lungo nel quale in effetti non ho voglia di avventurarmi, sta di fatto che ogni modus vivendi porta con sé pregi e difetti, e forse si tratta solo di scegliere il male minore o di adattarsi all'ambiente in cui ci troviamo usando i mezzi che abbiamo e gli strumenti a cui siamo abituati.
Leggendo altre recensioni ho trovato anche un suggerimento per una prossima lettura che viene paragonata in meglio a questa ed è "Pastorale americana" di Philip Roth, che guarda caso si trova già nella mia libreria. A mia volta voglio dare un suggerimento per un libro che mi è venuto in mente leggendo questo romanzo, un testo forse difficile da reperire, ambientato in un periodo antecedente a quello di cui parla la Oates, ma in cui si ravvisano i germogli di ciò che sarà la Famiglia Americana degli anni '60-'80, e si tratta di "Babbitt" di Sinclair Lewis.
Io mi fermerei qui perchè continuare a parlare del libro senza fare spoiler sta diventando impossibile e non voglio anticipare nulla sulle vicende raccontate, per lo stesso motivo saranno limitate anche le citazioni.

CITAZIONI FOTOGRAFICHE

cit. Una famiglia americana di J.C. Oats

cit. Una famiglia americana di J.C. Oats

cit. Una famiglia americana di J.C. Oats


mercoledì 1 luglio 2015

Pittura, racconti e amici : "La dama in bianco" di Sergio Piccolotto

Toni Piccolotto Scorcio di Facen 1933 olio su tavola cm 33X42
L'amico Sergio Piccolotto mi ha fatto una richiesta di cui mi sento onorata, in qualità di artista e di lettrice compulsiva, mi ha chiesto se fossi stata disposta a leggere un suo racconto ispirato al suo avo pittore Toni Piccolotto e a scrivere qualche impressione in merito. Ovviamente ho detto di sì per vari motivi. Il motivo primo è che adoro leggere, poi conosco Sergio da parecchio e so che ha una bella penna, infine so quanto ami l'arte e me l'ha dimostrato in varie occasioni scrivendo impressioni su alcuni dei miei quadri con una raffinata sensibilità.
Il racconto in oggetto è intitolato "La dama in bianco" ed in pochissime pagine riesce a condensare il succo di una vita, quella dell'artista Toni Piccolotto, definito il pittore della neve, di cui è possibile reperire una breve biografia e vedere alcune opere su wikipedia.
Sergio Piccolotto è riuscito ad immaginare alcuni passi fondamentali della poetica dell'artista suo antenato basandosi solo sulla sua sensibilità e sulle notizie che ha potuto reperire on line, ed in poche parole ha fornito due strumenti, a mio parere indispensabili, da usare come chiavi di lettura per la pittura in generale e non solo di Toni Piccolotto: la prospettiva e l'impatto personale.
In qualità di artista le cose che mi hanno colpito maggiormente di questo racconto sono proprio i due passaggi riferiti direttamente alla pittura: il primo in si cui racconta che il piccolo Toni capisce che la luce illumina tutto in egual modo ma che è la vicinanza o la lontananza a determinare il dettaglio; il secondo in cui si afferma che è il primo momento quello che conta veramente, il primo approccio all'opera e all'emozione che essa fornisce, ancor prima di sapere chi l'ha dipinta, ancor prima di sapere se dietro vi sia un messaggio preciso o meno.
Nel complesso il racconto, costruito su passaggi spazio temporali e flash back del protagonista, è  malinconico, evocativo, poetico, e vi si avverte tutto l'amore dell'autore per la sua famiglia, anche verso parenti che non ha potuto conoscere di persona.
La Dama in bianco che tutto avvolge ha una duplice valenza, della neve e della morte, entrambe abbracciano il protagonista in una nuvola di silenzio; la vita della pittura e la morte che si incontrano fin da ultimo su una tavolozza, in un paesaggio innevato, cogliendo l'artista a fare ciò che amava di più: dipingere la neve.

Sergio Piccolotto ha scritto anche un libro di racconti intitolato "Sette cioccolatini" , che gentilmente mi ha regalato raccomandandomi di leggerlo nel periodo prima di Natale, cosa che farò, per cui state connessi che a dicembre troverete mio commento su questo blog!