mercoledì 27 aprile 2016

I Viceré di Federico De Roberto

image_book-1I Viceré
Di Federico De Roberto
Editore: E-text / Audiolibro – Liber liber Numero di pagine: 496
Isbn-10: A000060243 | Isbn-13: 9788897313045
Fonte: I Vicere / Federico De Roberto ; a cura di Sergio Campailla. – Ed. integrale. – Roma : Biblioteca economica Newton, 1995. – 416 (Biblioteca economica Newton. Classici
  • Cecchini, Silvia (ruolo: Voce)

Link per il Download dell’Audiolibro

 

Soap opera ottocentesca  (4,6 stelle) 

Lo confesso, se non ci fosse stata Silvia Cecchini a leggermi questo mastodontico libro non ce l’avrei fatta a portarlo a termine, sicuramente non avrei superato la prima parte che è sicuramente la più pesante e la più faticosa a livello mnemonico, per la grande quantità di personaggi da imparare a conoscere.

In questo testo non si salva nessuno, ci mostra una società dove l’unico sano muore suicida; una sorta di Beautiful dell’800 in cui si fanno alleanze tra parenti serpenti, si decidono le sorti dei figli in base a regole dettate dall’interesse e tutta una serie di manovre letteralmente disgustose a livello umano. Attuale e lucido ci offre un inizio pesante e lento, poi maggiormente fruibile. De Roberto scrive un’opera meno coinvolgente emotivamente e più politicizzata di quelle del coevo ed amico Verga, ma di un enorme valore umano e storico. Dal punto di vista letterario ho trovato lo stile abbastanza scarno, dettagliato ma essenziale, apparentemente privo di partecipazione e di giudizio… che poi quando l’autore non da un giudizio esplicitamente emette sentenze ancor più efficaci.

Leggere questi romanzi è demoralizzante, se hai un barlume di utopia, di speranza in un mondo migliore con I Viceré ci metti una pietra sopra. Qui si trova l’umanità nelle sue caratteristiche immutabili, c’è il passato, il presente ed il futuro.

Dire di più sarebbe inutile, per cui passo a riportare alcune CITAZIONI con commento.

“«Il Re e i deputati assieme. Il Re può badare a tutto? E vedi lo zio come fa onore alla famiglia? Quando c’erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!…»”

CHI SA REMARE NON AFFONDA MAI, NEMMENO SE CAMBIA IL VENTO…

“Non contento di esercitare personalmente tanto potere, ficcava i suoi aderenti da per tutto perché facessero il suo giuoco: così Giulente zio aveva avuto la direzione della banca, così Giulente nipote era stato fatto sindaco!…”

“Delle cariche pubbliche s’era servito per accomodar le sue cose; i denari impiegati nella rivoluzione gli fruttavano il mille per cento! Così spiegavasi il suo patriottismo, la commedia della sua conversione alla libertà, mentre casa Uzeda era stata sempre covo di borbonici e di reazionari”

“«Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri…» Se non aveva pronunziato le parole, aveva certo messo in atto l’idea; perciò vantava l’eccellenza del nuovo regime, i benefici effetti del nuovo ordine di cose! Le leggi eran provvide quando gli giovavano”

Avevano promesso il regno della giustizia e della moralità; e le parzialità, le birbonerie, le ladrerie continuavano come prima: i potenti e i prepotenti d’un tempo erano tuttavia al loro posto! Chi batteva la solfa, sotto l’antico governo? Gli Uzeda, i ricchi e i nobili loro pari, con tutte le relative clientele: quelli stessi che la battevano adesso!

“«Pensi ancora alla destra e alla sinistra?» esclamò ridendo il duca, che aveva in tasca la formale promessa d’un seggio al Senato. «Non vedi che i partiti vecchi sono finiti? che c’è una rivoluzione? Chi può dire che cosa uscirà dalle urne a cui hanno chiamato la plebe? Un vero salto nel buio!…”

“Non si parlava delle elezioni, ma il principe, affabile con tutti, s’informava dei bisogni del paese, ascoltava i reclami di tutti, prendeva note sopra un taccuino, e lasciava la gente ammaliata dai suoi modi cortesi, sbalordita dalla sua eloquenza ”

“Il ridicolo di quella pubblicazione, la goffaggine degli elogi di cui era piena non gli davano ombra, sicuro com’era che per un elettore che ne avrebbe riso, cento avrebbero creduto a tutto come ad articoli di fede.”

PERCHE’… ADESSO è CAMBIATO FORSE QUALCOSA?

“Ma noi non scegliamo il tempo nel quale veniamo al mondo; lo troviamo com’è, e com’è dobbiamo accettarlo. Del resto, se è vero che oggi non si sta molto bene, forse che prima si stava d’incanto?”

DEDICATO AI NOSTALGICI DEI BEI TEMPI ANDATI…

“ Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dai Re; ora viene dal popolo… La differenza è più di nome che di fatto… Certo, dipendere dalla canaglia non è piacevole; ma neppure molti di quei sovrani erano stinchi di santo. E un uomo solo che tiene nelle proprie mani le redini del mondo e si considera investito d’un potere divino e d’ogni suo capriccio fa legge è più difficile da guadagnare e da serbar propizio che non il gregge umano, numeroso ma per natura servile… E poi, e poi il mutamento è più apparente che reale. Anche i Viceré d’un tempo dovevano propiziarsi la folla;”

INSOMMA…SE FAI POLITICA E VUOI OTTENERE SUCCESSO DEVI ESSERE UN GRAN BUGIARDOED INGRAZIARTI IL POPOLINO…

“Tutti si lagnano della corruzione presente e negano fiducia al sistema elettorale, perché i voti si comprano. Ma sa Vostra Eccellenza che cosa narra Svetonio, celebre scrittore dell’antichità? Narra che Augusto, nei giorni dei comizi, distribuiva mille sesterzi a testa alle tribù di cui faceva parte, perché non prendessero nulla dai candidati!…»”

PERCHE’ MAI NULLA CAMBIERA’…


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domenica 24 aprile 2016

Non tutti i bastardi sono di Vienna di Andrea Molesini

image_bookNon tutti i bastardi sono di Vienna
Di Andrea Molesini
Editore: Sellerio (La memoria, 829)
Numero di pagine:363
Isbn-10: 8838925003 | Isbn-13: 9788838925009 | Data di pubblicazione: 01/01/2010

 

Mi è piaciuto?

Sono indecisa se questo libro mi sia piaciuto o meno. Non posso dire che sia una brutta storia, né che lo stile in cui è scritto sia scarsamente apprezzabile, tuttavia non l’ho certo divorato, forse perché è pure lunghetto… i libri della Sellerio sembrano piccini, ma la scrittura è fitta fitta. Forse seppur si tratti di un buon romanzo mi è mancato ciò che attualmente cerco maggiormente nei libri che leggo, ovvero l’universalità dei concetti espressi. Sì, ci sono un paio di frasi che mi hanno colpita per la loro significanza, ma nel complesso non mi sono sentita coinvolta più di tanto. Credo che il problema fondamentale di questo libro sia la diluizione, se i concetti buoni e le frasi interessanti fossero state più concentrate forse l’effetto d’insieme sarebbe stato migliore. Rimane comunque una discreta lettura che potrebbe risultare un’ottima traccia per un film sulla grande guerra con un punto di vista alternativo.

Citazioni:

Ho avuto paura della verità…quando dici la verità perdi gli amici, perdi ogni cosa. La verità fa male, perchè c’inchioda alla terra. E la terra è proprio il posto che tutti vogliamo evitare.

La paura della fame era in lui anche più forte della fame.

Niente sangue, solo un buco. Da un buco così piccolo – pensai – era uscita una vita intera: gli affanni dei genitori, il bisdticciare dei fratelli, gli animali del cortile, la prima notte d’amore, la prima volta che, bambino, aveva detto “io”. Tutto andato chissà dove, per sempre.

Tutto si paga, e quel che è donato si paga ancora di più.


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sabato 16 aprile 2016

Parlare con le immagini

Argomento settimanale: Interazione tra scrittura e immagini
Le immagini possono scrivere parole? Con questa domanda lancio ufficialmente il nuovo argomento settimanale: l’interazione e contaminazione tra scrittura e mondo visivo. Quale rapporto intercorre tra le immagini e le parole?
(Circolo 16)

Le immagini possono scrivere parole? Certo che sì.

Fin dall’antichità si parlava al popolo mediante le immagini prima che con le parole, quando l’alfabetizzazione era rarissima si indottrinavano le persone tramite affreschi, mosaici, dipinti e così via.

Talvolta le parole non si trovano per esprimere certe sensazioni mentre tramite le immagini, che possono essere figurative o astratte, le sensazioni arrivano…vero è che un bravo scrittore riesce a trasmettere emozioni o concetti anche senza bisogno di immagini, così come un bravo pittore riesce a dare un messaggio anche senza spiegare il suo quadro verbalmente.

Credo tuttavia che, a meno non si voglia dare un messaggio estremamente semplice, l’immagine si presti a maggiori fraintendimenti della scrittura o della lingua parlata. Questo lo vivo sulla mia pelle ogni volta che mostro una mia opera, che io abbia un’intenzione comunicativa o meno, ognuno tende a vederci quello che più gli aggrada, talvolta ottengo anche un effetto opposto alla mia intenzione iniziale.

dollineAd esempio con uno dei miei ultimi progetti intitolato DollSamantha volevo alleggerire la mia produzione artistica, avevo voglia di ironia e vivacità, e credevo che questo venisse percepito anche dal pubblico… non vi dico come sono rimasta basita quando mi hanno detto che i miei quadri erano inquietanti!!! Ho provato a guardarli con occhi estranei, ed effettivamente, se uno proprio vuole un po’ di inquietudine può trovarcela, e può anche riflettere sul mascheramento della donna non più giovane, e mille altre fisime…solo che la mia intenzione iniziale non era quella! Quindi la mia conclusione è  che  esprimersi a parole rende di certo il pensiero meno equivocabile, anche se credo sia insita nell’animo umano un’incomunicabilità di fondo per cui il cervello che recepisce non capirà mai al 100% il messaggio del cervello che lo manda.

La pluralità espressiva è comunque  una ricchezza maggiore rispetto all’esternazione del pensiero mediante un solo mezzo, credo che non ci sia nulla di più bello al mondo del potersi esprimere contemporaneamente con tutte le doti che abbiamo a disposizione, mescolandole tra loro e stimolando la nostra creatività; dipingere, scrivere, cantare, suonare, ballare…sono tutti modi di comunicare interagibili,  fortunato chi riesce ad usarli tutti.


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martedì 12 aprile 2016

Una fra tante di Emilia Ferretti Viola (Emma)

Schermata 2016-04-12 alle 09.53.50TITOLO: Una fra tante
AUTORE: Emma [Ferretti Viola, Emilia](Milano, 1844 – Roma, 1929)
Società editrice partenopea
Cecchini, Silvia (ruolo: Voce)
DOWNLOAD AUDIOLIBRO

Un’invettiva

Una lettura il cui valore più che letterario è morale e politico. La storia è un po’ strappalacrime stile Heidi ed il modo di raccontarla è stilisticamente arcaico, con un uso dei verbi decisamente fantasioso per i giorni nostri; sicuramente leggendo questo libro e leggendone alcuni contemporanei è facile notare come la grammatica, nel corso degli anni, si modifichi e sia davvero un’opinione…

Non posso dire che il romanzo mi sia piaciuto, ma sicuramente per l’epoca in cui è stato scritto ha rappresentato un duro attacco alla falsa moralità e alla legalizzazione della prostituzione e delle case di tolleranza mediante il “Regolamento Cavour”. Forse oggi ci fa sorridere la ritrosia della protagonista, ma nel 1878 questa storia suscitò uno scandalo che arrivò fino al Parlamento italiano a causa della visione femminista dell’autrice ispirata dalla figura di Anna Maria Mozzoni ,una giornalista, attivista dei diritti civili e pioniera del femminismo in Italia.emma_ritratto

Un ringraziamento a Liber Liber e a Silvia Cecchini per le sue letture, probabilmente se non avessi potuto ascoltare la storia tramite la sua voce non avrei letto questo libro.

Il “progetto Manuzio” è una iniziativa dell’associazione culturale Liber Liber.
Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: http://ift.tt/1vPKkxW
DOWNLOAD AUDIOLIBRO

Riporto solo alcune citazioni significative:

Perché questi enti morali, specialisti filantropici di malattie morali, non sono noti al popolino come l’oculista, il cavadenti, il professore di medicina che si è acquistato un nome nella cura speciale di una malattia?

Era una cordialità selvaggia; una cordialità mista ad un desiderio maligno di far fare ad un’altra ciò che facevano loro, di metterla al medesimo livello. Quell’istinto d’assorbire, d’assimilarsi e d’affratellarsi che nasce sempre negli animi traviati, nei colpevoli e nei tristi. Il bisogno di crescere di numero e di formare una maggioranza; di sostituire alla qualità la quantità.
Istinto d’assorbimento morale, istinto potente, che possediamo tutti; legge d’attrazione intorno alla quale gravita tutto il mondo intellettuale, che ora chiamasi proselitismo, ora fanatismo, ora corruzione, e ora, quando sia forte e s’incarni gagliardamente in uno solo, chiamasi anche despotismo.

Era una delle maggiori e più ripugnanti miserie della società, quella che chiacchierava e rideva in quell’ora, eccitata e nervosa, intorno alla tavola ove sedeva la Barberina.
Era una miseria avida di vivere, pigra e oziosa, eppur sempre trafelata e ansante, che non ha tempo da perdere, eppure non lavora mai; e che nella furia di vivere spende tutte le sue forze. Miseria che ha paura e che vende la sua paura; miseria che soffre di febbre e vende le sue febbri; miseria che è sfacciata e vende la sua sfacciataggine; miseria che talvolta sa fingere vergogna per vendere anche quella. E in quella furia di dare per vivere, di farsi a brani per dividersi e suddividersi e darsi a tutti, in quel molteplice suicidio morale che la società compra a caro prezzo, si consuma con rapidità vertiginosa tutta quella misera gioventù. Ma la sciagura non finisce mai. In quelle vecchie vesti entrano, sempre vive e belle, nuove bambine e nuove donne.
La società ne ha bisogno, le vuole.
Sono vittime che la civiltà richiede. La loro bellezza e la loro gioventù sono una garanzia di ordine e di tranquillità.
La società soffre di un male incurabile, e ha cercato in esse il suo rimedio.

E le donne per bene, passando dinanzi ad esso, dopo aver guardato in su e dopo aver letto quella parola, volgevano la testa dall’altro lato, ora con disgusto, ora con malizia, talvolta con ira.
Era una prostituta.
Esse invece erano libere, mentre quella disgraziata era una schiava; e la sua giovinezza non la poteva scusare, ma l’accusava anzi maggiormente; il suo male non era per esse se non altro che una prova degli eccessi commessi nella colpa stessa, e per questa ragione nessuna, passando, si fermava presso al suo letto.
Donne galanti, mogli adultere, giovanette viziose, tutte passavano, guardandola con disprezzo.
Era una prostituta.
Non aveva più nulla in comune con le altre, non era più donna come loro, ma era soltanto una femmina; e la sua esistenza gravitava oramai inesorabilmente nella cerchia ributtante della propria femminilità.
Abbiezione irrevocabile, che agli occhi di tutti non appare come una disgrazia ancor maggiore per la sua irrevocabilità, ma anzi sembra più abbietta perché senza rimedio, e trae dalla stessa sua disperata condizione un obbrobrio sempre crescente, come ai tempi della schiavitù il non essere libero imponeva un marchio d’inferiorità crudele e assurdo.

Portarono quest’onta gli schiavi; la portano tuttora le prostitute, e la condividono tutti quei miserabili che soffrendo d’un’ingiustizia sociale, e non potendo punirla, la subiscono


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sabato 9 aprile 2016

Io e te di Niccolò Ammanniti

image_bookIo e te
Di Niccolò Ammaniti
Editore: Einaudi (Stile Libero Big)
Lingua: Italiano | Numero di pagine: 117 | Formato: Paperback
Isbn-10: 880620680X | Isbn-13: 9788806206802

 

 

Possiamo fare finta? (3,5 stelle)

Una volta tanto possiamo fare finta che i personaggi dei libri sappiano usare il congiuntivo? E’ un cane che si morde la coda. Per rendere verace il testo si fanno parlare i protagonisti come se fossero semi analfabeti, i lettori pensano che che se così è scritto su un libro vada bene, e allora col cavolo che si usa il congiuntivo… insomma CAZZO! Volete usare i verbi in modo decente ??????? ( e con questo ti sei giocato la quarta stellina…)

Ok, mi sono sfogata.

A parte l’inizio di protesta voglio dire bentornato ad Ammanniti. Dopo un paio di suoi libri  abbandonati finalmente ho letto questo e mi è piaciuto. Non è un capolavoro ma si tratta di una storia originale che offre vari spunti di riflessione sulla vita ma soprattutto sulle difficoltà di crescere e sentirsi accettati dal mondo.

In alcune frasi si percepisce la bravura dell’autore nel descrivere con poche parole e lucidamente la realtà di certi meccanismi. La sensazione che ho su Ammanniti però è quella dello studente dotato che non si applica… A mio parere ha grandi qualità sia come inventiva che come capacità di esporre in modo essenziale certe situazioni, ma non le usa appieno e soprattutto non le usa sempre, mi da la sensazione di una persona svogliata, che scrive perchè è bravo ma che potrebbe fare meglio. Anche questo romanzo, è buono, ma avrebbe potuto essere migliore, invece in alcune parti appare quasi tirato via, poco approfondito…per non parlare della conclusione. Il protagonista, mentre racconta una storia alla nonna malata terminale, dice che odia i finali… ecco, forse era meglio se Ammanniti avesse fatto come Lorenzo, un bel finale sospeso e via.

Citazioni:

La mosca era riuscita a fregare tutti, perfettamente integrata nella società delle vespe. Credevano che fossi uno di loro. Uno giusto. <…> Ma più inscenavo questa farsa più mi sentivo diverso. Il solco che mi divideva dagli altri si faceva più profondo. Da solo ero felice, con gli altri dovevo recitare.

E poi,o odiavo le fini. Nelle fini le cose di devono sempre, nel bene o nel male, mettere a posto. <…>sempre a discutere della fine, come se la storia fosse tutta lì e il resto non contasse nulla. <…> E allora anche nella vita vita vera, anche lì, solo la fine è importante? La vita di nonna Laura non contava nulla e solo la sua morte in quella brutta clinica era importante?


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giovedì 7 aprile 2016

Fosca di Iginio Ugo Tarchetti

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Fosca
Di Iginio Ugo Tarchetti
Editore: Mondadori (Oscar Classici 138)
Lingua: Italiano | Numero di pagine: 183
Isbn-10: 880431687X | Isbn-13: 9788804316879

 Credevo fosse Romanticismo e invece era Scapigliatura

Questo romanzo mi era rimasto nella memoria e non lo sapevo. Quando sono andata a vedere sul sito di Ad alta Voce quali titoli potessi ascoltare ed ho visto Fosca di iginio Ugo Tarchetti ho subito pensato/sperato che fosse la storia vista in tv tanti anni fa, la storia con quell’attrice imbruttita e magrissima che chissà perché mi aveva tanto colpita. E quella era. Dopo aver iniziato l’ascolto del libro mi sono documentata ed ho scoperto  che il film che mi era rimasto così impresso da ragazzina era “Passione d’amore” di Ettore Scola e che l’attrice in questione è Valeria D’Obici.

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Valeria D’Obici interpreta Fosca nel film “Passione d’amore” di Ettore Scola.

Se avessi dovuto definire questa storia prima di documentarmi avrei detto che si tratta di un romanzo estremamente romantico, e, da un punto di vista letterario, mi sarei sbagliata; trattasi infatti di una storia facente capo alla corrente della Scapigliatura, anche se in fin dei conti  mi sono sbagliata di poco, poiché quando penso al Romanticismo immagino lo sturm un drang tedesco (in italiano Tempesta e impeto) più che il Romanticismo italiano.

Ma lasciamo da parte le correnti letterarie e le definizioni, che poco mi si confanno, e veniamo alla storia. Pur non essendo un amante dei racconti di amori estremi Fosca mi è piaciuto abbastanza, non so quanta parte abbia avuto la memoria del film visto da giovane e quanta ne abbia avuta la bella lettura di Alberto Rossatti, sta di fatto che il romanzo mi ha appassionata e l’ascolto è volato in un soffio. Mi ha ricordato un po’ il tema delle favole in cui c’è la sorella bella e quella brutta, qui non si parla di sorelle ma di due donne entrambe legate in modo diverso allo stesso uomo, una incarna la bellezza e la semplicità dell’animo sereno, l’altra la bruttezza e la passionalità ed il tormento. Una dicotomia tra il bello e il brutto, tra il semplice ed il complesso, tra il sereno ed il tormentato. Di fatto il protagonista ama il bello ma non riesce a distaccarsi dal brutto che lo avvolge con la sua passionalità… sembra quasi uno specchio della vita stessa, dove raramente abbiamo un solo aspetto bensì un alternanza in cui spesso non ci è dato di scegliere, un’alternanza che forse è necessaria, contro il piattume dell’uniformità; Fosca è una donna affascinante, una figura molto più interessante di Clara con la sua perfetta bellezza e noiosa felicità, almeno a mio avviso.

Riporto una sola citazione:

Temo immiserire il valore e l’aspetto delle mie passioni, tentando di manifestarle; temo obbliarle tacendole.


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martedì 5 aprile 2016

Il Naso di Nikolaj Vasilevič Gogol

naso-gogol-400Il naso
Di Nikolaj Vasilevič Gogol

Lettura di Gaetano Marino Quartaradio Sardegna

Deludente 

Questa sarà la mia recensione più breve in assoluto temo… Mi pare una storia molto sopravvalutata, l’ho trovata solo grottesca e l’unico piacere provato è dovuto alla lettura bene interpretata di Gaetano Marino, attore a me noto per i podcast su Pirandello e Verga.

Se volete ascoltare la novella seguite questo LINK.


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venerdì 1 aprile 2016

La confessione di Lev Nikolaevič Tolstoj

image_bookConfessione
Di Lev Nikolaevič Tolstoj Editore: Liber liber
Lingua: Italiano | Numero di pagine: | Formato:eBook
Isbn-10: 8897313124 | Isbn-13: 9788897313120

 

In tutta l’angoscia di incertezza che mi perseguita l’arte per me è ancora miele

Leggendo “La confessione” di Tolstoj ho trovato la spiegazione semplice e chiara del perché dipingo, tra tutto ciò che ho letto in questo libro questa è la cosa che mi riguarda forse di più da vicino ed ho scritto in merito un piccolo post sul mio blog Pennelli & Parole.

Ma veniamo al libro in sé, il primo aggettivo che mi viene in mente è palloso da morire… lo so che è poco letterario come aggettivo ma la sensazione è quella; che poi si tratti comunque di un’opera ricca di considerazioni interessanti e di concetti sui quali riflettere è un altro discorso.

Sicuramente qui Tolstoj parla con il cuore in mano e ci porta a conoscenza di tutte le sue elucubrazione che in un impeto di volgarità e di mal sopportazione potrei chiamare seghe mentali… mi rendo conto che in questo mio commento sono alquanto priva di pazienza… probabilmente perchè a me pare di aver fatto un percorso completamente opposto all’autore, per cui quella che per lui è un evoluzione della sua persona per me è simile ad un rimbecillimento dettato dalla paura di morire e di aver vissuto una vita insulsa… sì, devo ammettere che questa lettura sta tirando fuori il peggio di me, la parte più insofferente e acida, se vi infastidisco smettete di leggere😛 e non mi offenderò!

Poichè gli spunti sono molti e questa recensione è già nata storta andrò per gradi e riportando le citazioni farò le mie osservazioni in proposito punto per punto:

“L’inizio di tutto era stato, si capisce, il perfezionamento morale, ma presto era stato sostituito dal perfezionamento in generale, cioè dal desiderio di essere migliore non dinnanzi a me stesso o dinnanzi a Dio, bensì dal desiderio di essere migliore dinnanzi agli altri uomini. E molto presto questa aspirazione ad essere migliore dinnanzi agli uomini fu sostituita dal desiderio di essere più forte degli altri uomini, cioè più celebre, più importante, più ricco degli altri.”

Osservazione giusta, mettersi in discussione e capire cosa sia autentico e cosa sia solo frutto di una ricerca di affermazione è fondamentale per la crescita individuale.

“Noi tutti allora eravamo convinti che bisognasse parlare e parlare, scrivere, stampare il più possibile e il più presto possibile, che tutto ciò fosse necessario per il bene dell’umanità. E noi, a migliaia, smentendoci e ingiuriandoci l’un l’altro, non facevamo che pubblicare, scrivere, per istruire gli altri. E, senza accorgerci che non sapevamo nulla, che al più semplice problema della vita – che cosa è bene, che cosa è male? – non sapevamo cosa rispondere, noi tutti senza ascoltarci l’un l’altro parlavamo tutti contemporaneamente, talvolta indulgendo e lodandoci l’uno con l’altro affinché anche con noi fossero indulgenti e ci lodassero, e talvolta invece irritandoci e urlando uno più forte dell’altro, proprio come in un manicomio.”

Un errore in cui gli intellettuali incorrono è proprio questo, credere di avere la verità in tasca e avvitarsi su discorsi sempre più sterili. Spesso le elucubrazioni sono utili ma altrettanto spesso finisce che si parla di lana caprina senza apportare nulla di più alla propria persona.

“Così che, per quanto io rigiri queste risposte speculative della filosofia, in nessun modo riceverò qualcosa che assomigli ad una risposta, e ciò non perché, come in campo sperimentale, esatto, la risposta non sia pertinente alla mia domanda, ma perché qui, sebbene tutto il lavoro della ragione sia concentrato appunto sul mio problema, una risposta non c’è, e invece della risposta si ottiene quella stessa domanda, soltanto in una forma ulteriormente complicata.”

Concordo totalmente con questa affermazione, non è possibile ottenere una risposta…ma per me questo non giustifica la religione, in questo modo la religione diventa solo uno strumento per placare la nostra sofferenza di non sapere, un mettere la testa sotto la sabbia. E infatti…

“Ed io capii che la fede di quelle persone non era la fede che io cercavo, che la loro fede non era la fede, era soltanto una delle consolazioni epicuree della vita. Io capii che quella fede poteva servire forse, se non come consolazione”

“Ed io cominciai ad avvicinarmi ai credenti che v’erano tra le persone povere, semplici, ignoranti, ad avvicinarmi ai pellegrini, ai monaci, agli scismatici, ai muziki. La dottrina religiosa di questa gente del popolo era anch’essa cristiana così come la dottrina religiosa degli pseudocredenti della nostra cerchia. Alle verità cristiane era mescolata anche molta superstizione, ma la differenza era questa, che le superstizioni dei credenti della nostra cerchia erano per loro completamente superflue, non erano collegate con la loro vita, erano soltanto una specie di divertimento epicureo; e invece le superstizioni dei credenti che appartenevano al popolo lavoratore erano fino a tal punto collegate con la loro vita che non si poteva assolutamente immaginarsi la loro vita senza quelle superstizioni: esse costituivano una condizione imprescindibile di quella vita. ”

“Tutto quello che noi facevamo, i nostri ragionamenti, la nostra scienza, le nostre arti, tutto ciò mi apparve come un trastullo da ragazzi. Io capii che non si doveva cercare un senso in tutto ciò. E invece quel che faceva il popolo lavoratore, il quale costruisce la vita, mi appariva come l’unica occupazione degna di rispetto. E capii che il senso che veniva attribuito a quella vita era la verità, e l’accettai”

Lo spunto iniziale mi trova concorde, ma poi si va nel banale secondo me… questo concetto secondo cui la verità si trova nella gente povera e semplice non lo condivido. L’ignoranza è male, la superstizione è male, il dover lavorare per un tozzo di pane senza poter pensare a concetti più elevati è male… il credere che nella povera gente ci sia la verità perchè hanno pensieri semplici è sbagliato. E’ logico che chi deve faticare per la sopravvivenza non ha energia, né tempo, né forse l’istruzione per filosofare, ma chi si trova in questa condizione a parer mio non detiene la verità, ha semplicemente la necessità di sopravvivere.

“Capii che la verità mi era stata nascosta non tanto dall’errore del mio pensiero, quanto dalla mia vita stessa, in quelle eccezionali condizioni di epicureismo, di soddisfazione di ogni libidine, in cui l’avevo trascorsa. ”

Beh… esistono anche le vie di mezzo…

“La coscienza dell’errore in cui cade la conoscenza razionale mi aiutò a liberarmi dalla tentazione dell’ozioso filosofare. La convinzione che la verità si può trovare soltanto mediante la vita, mi spinse a dubitare della giustezza del mio modo di vivere; ma ciò che mi salvò fu soltanto il fatto che io riuscii a svincolarmi dal mio esclusivismo e a vedere la vera vita del semplice popolo lavoratore e a capire che quella soltanto è la vera vita.”

Vedi commenti sopra: non concordo sul fatto che le menti semplici soltanto possano gustare la vera vita.

“Non ero più nella situazione in cui mi trovavo da giovane, quando pensavo che tutto nella vita fosse chiaro; in effetti ero giunto alla fede perché, eccetto la fede, nulla, davvero nulla, avevo trovato se non la morte; per questo abbandonare quella fede era impossibile ed io mi sottomisi. E trovai nel mio animo un sentimento che mi aiutò a sopportare tutto ciò. ”

 La religione come appiglio…a che serve? Ingannare se stessi per trovare un conforto alla paura di morire?

“Quella dottrina che mi aveva promesso di unire tutti in un’unica fede e in un unico amore, quella dottrina stessa per bocca dei suoi migliori rappresentanti mi diceva che quelle erano tutte persone che si trovavano immerse nella menzogna e che ciò che dava loro la forza di vivere era la tentazione del diavolo e che noi soli eravamo in possesso dell’unica verità possibile. ”

“Non è possibile – dicevo io – intendere la dottrina in modo più alto, così che per l’altezza della fede scompaiano le differenze, così come scompaiono per chi crede veramente?”

Mi pare una giusta considerazione… se il fondamento delle religioni è basato su principi simili, perchè poi farsi la guerra sulle procedure? Perchè l’uomo vuole mettere dogmi e regole che allontanano le persone tra di loro? Perchè queste strumentalizzazioni che da sempre hanno portato violenza e morte?

“Capii tutto. Io cerco la fede, la forza della vita, ed essi cercano il modo migliore per ottemperare di fronte agli uomini a certi impegni umani. E quando ottemperano a questi impegni umani essi lo fanno in quanto uomini. Essi hanno un bel dire della propria compassione per i fratelli smarriti, delle preghiere innalzate per loro al trono dell’altissimo, per ottemperare gli impegni umani è necessaria la violenza, ed essa sempre è stata, è e sarà adoperata. Se due fedi ritengono di essere ciascuna nella verità mentre l’altra è nell’errore ciascuna di esse, desiderando attrarre i fratelli verso la verità, propaganderà la propria dottrina. ”

“In quel mentre in Russia c’era la guerra. E i russi, in nome dell’amore cristiano, cominciarono ad uccidere i loro fratelli. Non pensare a questo, non era possibile. Non vedere che l’omicidio era un male contrario ai primi fondamenti stessi di ogni fede, non era possibile. E intanto nelle chiese si pregava per il successo delle nostre armi e i maestri della fede consideravano quell’omicidio come qualcosa che derivava dalla fede.”

E qui sta il nocciolo della questione…le religioni sono fatte dagli uomini. Ammesso e non concesso che un dio esista chi decide come pregarlo? Chi mette le regole? Gli uomini… e finora abbiamo visto i risultati…

“Ma da dove era venuto il falso e da dove era venuto il vero? Sia la menzogna sia la verità sono tramandate da ciò che chiamiamo la chiesa. Sia la menzogna sia la verità sono contenute nella tradizione, nella cosiddetta sacra tradizione e nella scrittura.

E, che lo volessi o no, io ero indotto allo studio, all’indagine su questa scrittura e su questa tradizione, indagine che avevo tanto temuto fino a quel momento.”

Appunto. E quindi?

Il libro non conclude, o se conclude trae una conclusione che io forse non comprendo.

Da quel poco che mi è parso di capire, e lo dico con parole molto povere, ad un certo punto Tolstoj colto dal disgusto della sua vita e dalla paura della fine si è riavvicinato alla religione; questo avvicinamento è stato difficile perchè si è scontrato con una serie di problemi da lui esposti nelle sue meditazioni e perciò è arrivato ad avere una sorta di fede super partes, una fede slegata alle religioni ufficiali.

Ho capito bene? Non lo so. Sta di fatto che mi sento quasi tradita da Tolstoj, un personaggio così colto ed intelligente che fa un percorso a mio parere a ritroso, che parte dalla sapienza della conoscenza per arrivare alla fede priva di fondamenti reali, perchè in fin dei conti le spiegazioni che lui da del perchè si debba credere non mi hanno convinta, o forse è probabile che nella mia piccolezza non li abbia capiti…

 


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La monaca di Simonetta Agnello Hornby

image_bookLa monaca
Di Simonetta Agnello Hornby
Editore: Feltrinelli / Coop
Numero di pagine:296 | Formato:Paperback
Isbn-10: 880783040X | Isbn-13: 9788807830402
Data di pubblicazione: 01/01/2011

 

Ma dov’è finita la scrittrice de “La mennulara”?  

Forse ero io una persona diversa quando lessi per la prima volta la Hornby, ma La mennulara mi parve un romanzo bellissimo, poi ho riprovato a leggere altro della stessa autrice rimanendo molto delusa.

Questo romanzo è privo di mordente, una cronaca che di positivo ha solo una buona ricostruzione di usi e costumi ma dove i personaggi non hanno spessore, tutto rimane in superficie. Non ho trovato né passione né riflessione profonda, semplicemente una storia di poco superiore ai romanzetti rosa che potrebbe andar bene per una fiction sulla rai.

Un romanzo che non lascia nulla e che mi ha annoiata per la sua mancanza di contenuto.


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