venerdì 28 febbraio 2014

Passaggio in India di E.M. Forster

Copertina di Passaggio in India

Io ci ho provato, sul serio. 
 
 
Mi sono apprestata a leggere questo romanzo con le migliori intenzioni, ho retto la prima parte decentemente, ma poi mi sono dovuta arrendere all’evidenza che questo classico moderno non fa per me.
Non avevo letto nulla di Forster finora, avevo solo visto due film tratti dai suoi romanzi (Casa Howard e Camera con vista) e in base a quelli dovevo immaginarmi che la lettura non avrebbe incontrato troppo i miei gusti. A dire il vero un film su Passaggio in India lo guarderei volentieri, la durata sarebbe limitata, i numerosi personaggi avrebbero un volto per essere ricordati meglio, ci sarebbero sicuramente belle inquadrature, una bella fotografia. Ma il libro no, decisamente è in uno stile troppo “antico” e soprattutto si narra di vicende basate su certe convenzioni sociali e su certi modi di ragionare per me incomprensibili.
Sicuramente la forma in cui il romanzo è scritto ha influenzato negativamente il mio apprezzamento, più che della storia in sé. Forster è lontano dallo stile di alcuni autori suoi coevi che mi sono piaciuti per la loro modernità, lui guarda al passato come modello stilistico, troppo “english old style” per destare in me un interesse vivo.
Ho voluto comunque portare a termine la lettura, forse alla ricerca di una rivelazione finale che mi illuminasse, ma la rivelazione non è arrivata, e non mi vergogno a dire  che ad un certo punto ho cominciato a saltellare tra le pagine per accelerare la fine di questa noiosa esperienza.
Peccato, perchè alcuni spunti mi sono piaciuti, ad esempio alcune velate critiche alle convenzioni sociali, che però, invece di emergere con prepotenza, sono rimaste appena percepibili sotto la patina “politically correct” tipicamente inglese.

Citazione:

“ Ma se non ci si preoccupa come si fa a capire?”

 

mercoledì 26 febbraio 2014

Moscerine di Anna Marchesini

Copertina di Moscerine

Racconti che del moscerino hanno solo la brevità. 
La Marchesini è faticosa, sovrabbondante, poeticamente logorroica. I suoi racconti ti soffocano quasi, le sue frasi a volte sembrano non finire mai e tu implodi mentre le leggi.
Ciononostante è brava. Ha una capacita d’immedesimazione fuori dal comune, mentre la leggi pensi che stia scrivendo con cognizione di causa perchè ciò di cui parla lo ha vissuto sulla propria pelle, anche quando racconta della morte sembra che l’abbia vissuta in prima persona e che per chissà quale miracolo sia resuscitata per venire a raccontarcela.
Il difetto maggiore rimane la ridondanza. La prima frase è perfetta, basterebbe a capire il tutto ma la Marchesini ci torna e ci ritorna, ripetendosi e modificando le parole per dire ciò che aveva già detto splendidamente fin da subito, per rafforzare ciò che si era già capito benissimo alla prima, e questo appesantisce, soffoca.
Devo dire che su nove racconti solamente tre mi sono piaciuti moltissimo, gli altri chi più e chi meno hanno rappresentato ai miei occhi più che altro un’esercizio stilistico. Però quei tre valgono il libro.
“La signorina Iovis” con la sua figura patetica, con la sua esistenza “striminzita”, mi ha commossa.
In “Lisetta” si assiste ad una bellissima analisi della perdita, del dolore, dei rapporti umani di amore ed amicizia.
“In punto di morte” è il racconto che mi ha colpita maggiormente, per la capacità di farti entrare nel corpo immobile del moribondo, nei suoi pensieri, per la delicatezza con cui descrive la catarsi di un’esistenza di solitudine nell’ultimo attimo di vita.
Anche “Le evidenze” mi è piaciuto ma in questo racconto la verbosità è stata davvero eccessiva.
La Marchesini è brava ad entrare nelle persone, ad osservarle nell’intimo, a sapercele restituire con un raro talento umano; è meno brava stilisticamente, ossia, è troppo brava stilisticamente, talmente brava che diventa troppo.
Personalmente trovo che se snellisse appena appena la sua scrittura sarebbe una sintesi perfetta di anima e forma, ma è un parere puramente soggettivo.

Citazioni:

“La signorina Iovis in tutta la sua vita si era storta una caviglia.
Con ogni probabilità, anzi di certo con ogni evidenza, codesto evento più di ogni altro aveva rappresentato l’accadimento di maggiore rilevanza di tutta la sua striminzita esistenza.”
(“La signorina Iovis”)

“Il dolore aveva assunto le sue misure la sua forma, lui lo indossava come una vestaglia dentro casa per strada, ci viveva insieme, era tutt’uno.”
(“Lisetta”)

“la sua coscienza, era rimasta ancora completamente lucida e continuava a respirare sommersa sotto i resti, le reliquie evidenti della disgregazione del suo corpo, era come se fosse rimasto vivo sotto le macerie della sua casa crollata per effetto di un terremoto; dunque doveva solo attendere ancora, non doveva muoversi, solo aspettare non c’era nulla da fare, nessun soccorso da chiamare”
(“In punto di morte”)

mercoledì 19 febbraio 2014

Il male è nelle cose di Maurizio Cucchi


Copertina di Il male è nelle cose

La psicopatica che è in me.

Non avrei mai immaginato di arrivare a provare il desiderio di bruciare un libro, e invece è successo.
Ho quasi pensato che fosse necessario eliminarlo, o comunque nasconderlo in fondo ad un armadio affinché nessuno potesse leggerlo e farsi eventualmente ispirare da esso.
E’ una sciocchezza lo so. Sicuramente ci sono racconti ben peggiori, dove l’horror e lo splatter la fanno da padroni, che possono influenzare negativamente una mente fragile, ma questo è diverso.
Se il male è nelle cose allora lo è anche in questo libro.
Il fatto è che ci sono dei generi letterari in cui tu già sai a cosa vai incontro, ed io li evito accuratamente, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un romanzo che non fa parte di quel filone truculento che tanto va di moda, no, questo è letteratura.
Maurizio Cucchi sa scrivere.
La storia, nel suo apparente succedere poco o nulla, è avvincente. I capitoli brevissimi, contraddistinti dallo scorrere del calendario, danno un ritmo eccellente al racconto e ci portano alla meta inesorabilmente della definitiva rivelazione del protagonista.
Leggendo varie recensioni ho visto che il Pietro di Cucchi è stato paragonato a Lo Straniero di Camus, ma a mio avviso sono diversi. Se Lo Straniero era avvolto da una sorta di indifferenza alla vita, in Pietro si va oltre. In Pietro c’è una specie di apatia che sfocia in pensieri ossessivi e in raptus veri e propri, che lui tenta di spiegare razionalmente affermando che il male è nelle cose in sé e non tanto in chi le usa, chi ne fa uso non può fare altrimenti che utilizzarle per lo scopo per cui sono state create. Sembra che in Pietro ci sia una sorta di ribellione alla maschera di gentilezza da lui sempre indossata, ma si tratta di una ribellione malsana che lo porta ad atti crudeli verso esseri indifesi ed infine anche ad atti di autolesionismo.
Oggettivamente questo libro è “bello”, è riuscito. L’autore ha la capacità di trasportarci dentro la storia senza noia, sa spiegare la deformazione mentale che si va creando nel protagonista, lo sa fare talmente bene e con una tale verità che per me è insopportabile. Va a toccare tasti che mi inquietano troppo, che mi fanno stare troppo male, non accetto la crudeltà sugli indifesi, nemmeno se apparentemente può avere una spiegazione quasi logica. Da qui è scaturita la voglia di bruciarlo, quasi per difendere menti deboli che potrebbero leggerlo e trarne ispirazione per atti malvagi. Ma ovviamente non lo brucerò. Probabilmente lo terrò invece di liberarmene, come faccio di solito con i libri a cui non mi sono affezionata, ma devo ammettere che l’idea di tenerlo con gli altri mi da un senso di contaminazione. Ecco, vedete? Maurizio Cucchi è stato talmente capace da indurmi a pensare che il male sia davvero nelle cose, in questo libro ad esempio, che mi porta a ragionare come una psicopatica. E bravo Cucchi.

Citazione:
“ In fondo - si diceva - i bambini, che sono natura, dove vedono la debolezza colpiscono senza esitare, senza pietà, e ci provano gusto, soddisfazione.”

domenica 16 febbraio 2014

L’inverno a Lisbona di A.M.Molina

Copertina di L'inverno a Lisbona

Ma Lisbona dov’è? 
Ho preso questo libro mossa dalla mia “malattia” per Lisbona, sperando di trovarvi le sue atmosfere, i suoi luoghi a me tanto cari, la sua saudade; ma in questo libro ho soltanto trovato un’atmosfera noir da cinema americano anni quaranta.
Una scrittura abbastanza ricercata ma vagamente stonata, uno stile che pare rifarsi più ad un cliché che ad un’ispirazione autentica.
Dopo una trentina di pagine mi sono resa conto di provare solo noia per una storia inconcludente che non mi pareva celasse nulla di consistente nemmeno nelle sue pieghe più nascoste. Ho provato a sbirciare più avanti e la sensazione è che tutto il libro corresse più o meno sulla stessa lunghezza d’onda e che non succedesse nulla di interessante né a livello emotivo né a livello del racconto.
Per di più Lisbona non c’era.
L’ho abbandonato. Se voglio avere sensazioni alla “provaci ancora Sam” preferisco guardarmi un film con Humphrey Bogart.

venerdì 14 febbraio 2014

Franny e Zooey di J.D.Salinger

Copertina di Franny e Zooey

Le paturnie di una ventenne eccezionale 
 
Leggere questo libro è stata un’esperienza strana.
I ricordi che ho di me all’età dei protagonisti sono piuttosto vaghi, mi penso come un’ inconsapevole ragazzotta cresciuta (poco) nella bambagia, facente parte di un mondo piccolo. A dire il vero ho ancora di me questa visione un po’ anche adesso che a quarantadue anni suonati dovrei sentirmi una donna fatta e finita, e invece no. Tornando ai protagonisti della storia, mi appaiono alieni rispetto alla proiezione che ho di me alla loro stessa età.  Mi sembrano estremamente cresciuti, maturi, parlano e discutono con la capacità e la sapienza di un adulto colto... È anche vero che fanno parte di una famiglia eccezionale, sono stati “bambini eccezionali”, di una straordinaria intelligenza e precocità, e forse questo loro pregio è stato alla fine anche il loro guaio.
Il libro, tranne qualche passaggio eccessivamente logorroico, è scritto benissimo, ho trovato la prima parte in special modo un gioiello di perfezione. In quanto alla storia, assimilabile ad un romanzo di formazione, è semplice ma complessa al tempo stesso, l’intenso acume dei protagonisti li porta a filosofeggiare ed a porsi domande esistenziali rendendo i dialoghi penetranti, inoltre Franny e Zooey portano sulle spalle il fardello troppo pesante dei fratelli, soprattutto di quelli morti.
Probabilmente leggere questo libro a quarant’anni non è fondamentale ma è comunque piacevole; leggerlo a diciotto è vivamente consigliato, al posto di tanta letteratura da strapazzo per giovani menti appannate; leggerlo se si ha intenzione di mandare un bambino ad un talent-show è imprescindibile.

Citazioni:

“...divisa com'era tra l'autodisapprovazione e la malizia, le venne voglia di dire quel che pensava.”

 “Siete persino venuti qui tutti e due per molti week-end, in questi ultimi due anni, e anche se abbiamo parlato e parlato e parlato, ci siamo trovati tutti d'accordo a non dire una parola.”

“abbiamo i nostri complessi del «Bambino Eccezionale». Non siamo mai usciti veramente da quella dannata radio. Nessuno di noi. Noi non parliamo, dissertiamo. Non conversiamo, diamo spiegazioni. Almeno, io faccio così.”

“All'università non ti accennano mai, nemmeno una volta che la saggezza dovrebbe essere la meta della conoscenza. Quasi nemmeno la nominano, la saggezza.”

“io non ho mai cercato, consapevolmente o no, di trasformare Gesù in san Francesco d'Assisi solo per renderlo più «amabile», come ha sempre cercato di fare il novanta per cento dei cristiani. “

“Ma non andare in giro a gridare contro gli ego in generale. Secondo me, se vuoi proprio saperlo, metà della sporcizia di questo mondo è provocata da persone che non si servono del proprio vero ego.”

“Un artista si preoccupa solo di raggiungere una sua perfezione. E alle sue condizioni, sue e di nessun altro. “

mercoledì 12 febbraio 2014

Io vi maledico di Concita De Gregorio

Copertina di Io vi maledico

Come gli struzzi (4,7 stelle)
Dopo che hai letto un libro del genere vorresti mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e far finta di non averlo mai aperto, fingere che tutto ciò che ci hai trovato dentro non sia vero, non sia mai accaduto... Fingere che tutto vada bene.
Come c’era da aspettarsi non si tratta di un’opera di narrativa ma di una serie di articoli ed interviste ad opera di Concita De Gregorio che hanno come filo conduttore “la rabbia”.
In questo libro più che all’apparenza si bada alla sostanza, anche se ovviamente la forma c’è.
Concita scrive bene seppur usando uno stile semplice, il messaggio deve essere efficace a livello di contenuti prima ancora che a livello estetico e deve arrivare a più più tipologie di persone possibili. Uno stile informale che l’autrice sta portando anche in televisione con il programma Pane Quotidiano su Rai Tre, volto alla diffusione della cultura in generale e a molti livelli.
In “Io vi maledico” troviamo tante voci inascoltate, tanti fatti rimasti sospesi, tanti punti di vista... Incontriamo persone legate dal comune senso di impotenza verso un’ingiustizia subita,  tutte arrabbiate, molte ancora in lotta e molte vinte dal sistema dell’indifferenza.
Un libro che dovrebbero leggere tutti, soprattutto coloro che si tengono fuori dalle questioni “politiche” perché pensano di non esserne riguardati, per acquisire un minimo di consapevolezza del mondo che ci circonda, per aprire gli occhi e non far finta che la vita finisca nel nostro orticello. Perchè fare politica non è solo andare a votare o guardare i talk show che adesso imperversano.
La De Gregorio ha fatto un’operazione intelligente nella stesura di questo libro, ha toccato gli argomenti in modo incisivo ma breve, così da non annoiare il lettore, aggiungendo alla fine dei “consigli di lettura” (una bella bibliografia a dire il vero!), dei links di approfondimento per chi fosse interessato a saperne di più sui vari temi affrontati.
Per me, che sono una sottolineatrice folle, ridurre questo libro ad un campo di battaglia di linee e appunti è stato un attimo, le cose da stampare in mente erano tante, ma mi limiterò a riportare solo tre citazioni tratte dal prologo, nella speranza che chiunque legga questo mio commento abbia voglia di leggersi il libro per intero e non si accontenti di qualche frase ad effetto.

Citazioni:

“Perchè se non hai di cosa vivere ogni vicino è tuo nemico”

“Non c’è bisogno di essere specialisti per sapere che i sedativi  placano il sintomo, non agiscono sulla causa.”

“ La rabbia fragile è tutto intorno a noi. <...> non sa diventare indignazione. <...> Distrugge quel che non le piace poi si ferma e non trova la strada.”



mercoledì 5 febbraio 2014

Il percorso dell'amore di Alice Munro

Copertina di Il percorso dell'amore
Cercando di capire perchè questa lettura è così faticosa
Questo è un libro controverso.
Innanzitutto non è stata direttamente una mia scelta bensì l’ho letto collettivamente in un gruppo di lettura su Twitter ed ho partecipato abbinando i miei dipinti ad alcune citazioni.
Il primo approccio non è stato ottimo, sicuramente svantaggiato dal fatto di non averne la versione cartacea bensì l’e-book, il quale non mi dà la stessa concentrazione dell’oggetto-libro. E’ anche vero che in questa forma ho letto pure “Cattedrale” di Carver e nonostante il digitale sono stata folgorata.
Forse dietro ad un Nobel si creano delle aspettative.
Forse la Munro è una semplice apparente, nei suoi racconti dall’aspetto banale nasconde una serie di cose non dette molto complesse.
I componendi del gruppo di lettura mi hanno aiutata devo dire, ponendo l’accento su cose che a me erano sfuggite o che non avevo compreso, parlando con loro abbiamo convenuto che i racconti di Alice Munro sono dei macigni opprimenti. Dietro la loro forma leggera e garbata nascondono una pesantezza che li rende faticosi.
Il disturbo datomi dalla Munro non è dovuto alla brevità delle storie o alla loro incompiutezza, a me i racconti piacciono., e spesso un racconto è uno spaccato di vita senza capo né coda. Sovente nel racconto dobbiamo essere noi a dare una fine con la nostra immaginazione, un po’ come quando in sala d’aspetto si incrociano vite e guardando quel poco che ci mostrano ne immaginiamo il prima e il dopo.
In un certo senso anche la mia attività artistica di questo periodo è paragonabile allo stile del racconto, sto dipingendo “quello che vedo”, cose quotidiane, persone normali, colte in un attimo che un momento dopo è già fuggito, proprio come nelle storie di Alice Munro. Nel gruppo di lettura mi hanno detto che i miei dipinti ben si adattano ai racconti di Alice (concedetemi di chiamarla per nome), soprattutto le mie figure femminili...e qui ho cominciato a capire...Le mie “donne” spesso sono state rifiutate dallo spettatore perché troppo intense, indagatrici, opprimenti in un certo senso. Ho capito che alcuni miei dipinti sono opprimenti come i racconti della Munro, mettono in luce un volto con i suoi pregi e i suoi difetti, senza giudizio, e non tutti sono pronti ad accettare questi volti, così come non tutti sanno accettare le donne di Alice, paradossalmente io per prima. Probabilmente sto attraversando un periodo artistico di rinnovamento, sto dipingendo soggetti diversi rispetto al reiterato volto femminile che mi ha accompagnata per vent’anni, e i racconti della Munro mi riportano lì, alle donne, anche alle mie donne, che ogni tanto sorridono ma spesso scrutano. Comincio a pensare che la sensazione di oppressione che questa lettura mi ha dato abbia a che vedere con il mio percorso artistico. Troppe donne.
Un grosso problema che ho è la memoria, soprattutto quando leggo. Un romanzo ha una storia che comunque segue un filo. Questi racconti invece, nebulosi di per sé, sono tante storie, piene di personaggi e di nomi (nomi che io tendo a confondere), vicende simili e diversissime al tempo stesso, ed io mi ritrovo a mescolarle l’una con l’altra, a fondere i personaggi fino a dar vita ad una creatura mostruosa in cui confluiscono tutte le peculiarità di ciascuno ingenerandomi una grande confusione. Se non avessi a portata di mano il file del libro, con le frasi evidenziate e le mie note aggiunte via via non sarei in grado di raccontare nulla o quasi in merito a ciò che ho letto.
Questo della memoria è un mio problema, lo so, che con i racconti della Munro si è accentuato maggiormente.
Sarà per questo che non riesco a lanciarmi in lodi sperticate e a gridare “al capolavoro”? Eppure comprendo perfettamente in cosa sta la bravura di questa scrittrice: fa apparire semplice ciò che semplice non è...
Contrariamente ad altri pareri i primi due racconti del libro non mi sono piaciuti molto, mi hanno lasciata troppo intontita.
Man mano che la lettura è proseguita invece ho trovato maggior piacere, storie più avvincenti, anche se poi la sensazione di freddo, triste, incompiuto che permea un po’ tutto il libro è rimasta.
Di fatto, alla fine dell’ultimo racconto, ho tirato un sospiro di sollievo, è stata una sorta di liberazione.

Non è mia intenzione analizzare i racconti uno per uno ma voglio riportare i titoli dei miei preferiti:
Monsieur les Deux Chapeaux,
Miles City, Montana
Raptus
Una vena di follia
La Catena di Preghiera

Per quanto riguarda le citazioni rimando direttamente al mio post di citazioni abbinate ai dipinti a questo link
e allo Storify del gruppo di lettura su Twitter


martedì 4 febbraio 2014

L'ignoranza di Milan Kundera

Copertina di L'ignoranza

*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***

Siamo tutti un po’ esuli (4,5 stelle)
Qualcuno lo ha definito un “romanzo-saggio”.
Definizione azzeccata direi. La storia è intervallata da considerazioni filosofiche, che se da un lato aiutano a capire il messaggio che Kundera vuol dare coi personaggi, dall’altro raffreddano un po’ la narrazione.
Il libro nel complesso mi è piaciuto, ho sottolineato una grande quantità di concetti che ho reputato veritieri e interessanti, tuttavia non mi ha emozionata eccessivamente, forse perchè l’argomento trattato riguarda la mia vita solo in modo periferico. Però mi ha spinta a pormi delle domande: Qual’è la nostra casa? Casa è dove siamo nati e cresciuti? Dove ci sono i ricordi? Dove ci sono coloro che amiamo? Dove siamo stati felici? Dove abbiamo l’indipendenza? Dove siamo liberi? Non ho trovato le risposte.
Il tema principale è l’esilio e la nostalgia che da esso deriva o dovrebbe derivare. L’autore ci propone subito una spiegazione del titolo da un punto di vista culturale-etimologico analizzando varie lingue.
Se si prende il significato etimologico della parola nostalgia in spagnolo añoranza deriva dal catalano enyorar  che deriva dal latino ignorare, “ Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza “ (cit. pag.12).
Comunque al di là dei significati grammaticali, alla luce della lettura del libro, io mi sento di dare una valenza duplice alla parola ignoranza: una relativa al provare nostalgia per il non sapere cosa succede dove presumo aver lasciato il mio cuore, l’altra relativa all’adolescenza, a quel periodo della nostra vita in cui ignoriamo la nostra vera essenza e compiamo delle azioni di cui ci pentiremo quando la consapevolezza l’avremo raggiunta. Il tempo cambia le priorità, scelte fatte vent’anni fa improvvisamente non hanno più senso.
Il pregio maggiore di questo romanzo è a mio parere la capacità sintetica di Kundera. Lo scrittore è capace di esprimere concetti in modo chiaro, di riassumere un secolo di storia in poche righe, di porre l’attenzione su considerazioni apparentemente banali che viviamo come ovvie ma che leggendole pensiamo "è vero!".
Ciò in cui mi sono più ritrovata è il bisogno di raccontare di chi è stato in esilio, la necessità di far partecipi della propria vita coloro che si sono lasciati e che non abbiamo visto per molti anni. Materialmente io non ho vissuto l’esilio, ma la necessità di raccontarsi a chi vive un’esistenza diversa dalla mia l’ho vissuta ugualmente, così come ho vissuto il rifiuto delle mie nuove realtà da coloro con cui avevo condiviso quotidianità diverse. Perchè in fin dei conti tutti siamo degli esiliati, tutti facciamo scelte che ci esiliano alla fine da ciò che siamo stati e da coloro con cui abbiamo vissuto esperienze. A chi non è capitato di fare una rimpatriata con i compagni di scuola e ti ritrovi a non avere più niente in comune? Solo ricordi, e i discorsi non vanno verso la conoscenza del presente, bensì verso il passato, verso la memoria comune... A nessuno interessa conoscerti e sapere di te.
Le considerazioni finali sono amare e portano ad una inevitabile solitudine di tutti i protagonisti. Ognuno di loro per per motivi diversi rimane da solo, chi viene rifiutato per quello che è (Irena) chi si auto esclude perché non accetta una parte di sé (Milada) e chi forse per paura o per una sorta di autopunizione decide di rifugiarsi nel passato, nella certezza dell’amore per la moglie morta (Josef).
Un po’ meglio va ai personaggi di contorno che forse per la loro  maggior superficialità riescono a trovare un accomodamento sereno, banale, ma non infelice (Gustaf e la madre di Irena).
Kunderà non è caritatevole con i suoi figli di penna, li adopera come marionette, ne tira i fili allo scopo di esplicare i suoi pensieri, ce li presenta e poi li lascia alla loro vita, soli.

Citazioni:

 “ Aveva sempre dato per scontato che la sua condizione di esule fosse una sciagura. <...> Forse leggeva la propria vita sulla base di istruzioni per l’uso che altri le avevano fatto scivolare in mano.”


“...non appena le sue parole si allontanano dal centro delle loro preoccupazioni, nessuna l’ascolta più.”

“...il paradosso matematico della nostalgia:essa è più forte nella prima giovinezza, quando il volume della vita passata è del tutto insignificante.”

“...pensano di essere legai dalla stessa esperienza, dagli stessi ricordi. Gli stessi ricordi? E’ qui che comincia il malinteso: non hanno gli stessi ricordi; del passato, a entrambi sono rimaste impresse due o tre situazioni particolari, ma non le stesse, i loro ricordi non si somigliano; non collimano;...”

“ Qui ho sempre l’impressione che vogliano amputarmi vent’anni di vita.”