martedì 17 dicembre 2013

Gli sdraiati di Michele Serra

Copertina di Gli sdraiati

Michele Serra ha esagerato. ( 4,5 stelle) 
Poteva essere un libro bellissimo, ma diciamocelo, ha voluto strafare inserendo la storia di Brenno Alzheimer nel silenzioso colloquio del padre con il figlio adolescente. 
Serra ha infilato un racconto nel racconto. La novella sulla guerra tra i giovani e i vecchi, vagamente surreale e metaforica, poteva essere un libro a sé, con vita propria, inserita in questo libro ha invece rovinato il ritmo dei capitoli, abilmente punteggiati dalle richieste del genitore allo “sdraiato” di condividere una passeggiata in montagna. 
Se facessi finta che Brenno Alzheimer non si fosse affacciato in questa narrazione potrei considerare “Gli sdraiati” quasi un capolavoro, dove il sapiente linguaggio dell’autore e la sua amara ironia riescono a fondere tra loro e a farli emergere l’amore paterno ed una visione disincantata del mondo. 
Serra ha dato vita ad una fotografia senza illusioni sul pianeta in cui fluttuano gli adolescenti, ha evidenziato impietosamente le difficoltà dei rapporti tra generazioni, ci ha fornito una radiografia dell’universo in cui abitano questi giovani massificati disposti a file chilometriche per comprare una felpa, un universo che però è stato creato per loro dagli adulti, ad uso e consumo di chi giovane non è più e tira le fila del marketing della vita. 
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare e nonostante la scrittura puntuta e satirica di Serra questo non è un libro allegro, è una storia che mette il dito nella piaga, anzi in molte piaghe, e a meno che non lo si voglia leggere con estrema leggerezza, la drammaticità che ne traspare appare evidente. 
Tuttavia il finale è comunque positivo, anche perchè effettivamente l’adolescenza dura qualche anno, e prima o poi lo sdraiato cresciuto tornerà ad avvicinarsi al padre, ci sarà una nuova possibilità di comprensione tra i due mondi paralleli, e questo l’autore lo sa.

Citazioni: 

“L’amore naturale che si porta ai figli bambini non è un merito. Non richiede capacità che non siano istintive. <...> È anni dopo, è quando tuo figlio (l’angelo inetto che ti faceva sentire dio perché lo nutrivi e lo proteggevi: e ti piaceva crederti potente e buono) si trasforma in un tuo simile, in un uomo, in una donna, insomma in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano. La pazienza, la forza d’animo, l’autorevolezza, la severità, la generosità, l’esemplarità... troppe, troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere.” 

“Ripenso con rimpianto a quella felice marginalità infantile, a quella pre-vita così densa di profumi, di beate solitudini, di tempo vuoto e silenzioso, quando assisto alle omissioni o alle complicità degli adulti, nei ristoranti, di fronte a schiamazzi e corse forsennate dei loro piccoli cari, resi isterici da una promiscuità imposta e priva di qualunque assetto, di qualunque educazione. O quando assisto al triste esibizionismo di bambini che la volgarità sentimentale dei genitori trasforma in miniature di adulti, scaraventati in pasto alla loro acerba vanità e al voyeurismo infanticida dei grandi.” 

“Chiedo che sia messo agli atti: una coda di tre ore per entrare in un negozio di felpe. (In tre ore, camminando in montagna, si cambia vallata.) L’età degli umani in coda davanti a Polan&Doompy, ambosessi, era compresa tra i dodici e i venti. Una massa impressionante e docile di carne fresca, ben nutrita, ben curata, che avrebbe fatto la gioia di un mercante di schiavi, di un reclutatore di soldati, del capo del personale di una catena di bordelli dotata di un rilevante reparto pedofili.” 

“Non che conti molto, per te, il fatto che mi piaccia o non mi piaccia. Peggio: se mi piace, rischia di smettere di piacerti. Così mi guardo bene dal comunicare approvazione per questo tuo stravagante interludio. “ 

“Dopotutto siete arrivati in un mondo che ha già esaurito ogni esperienza, digerito ogni cibo, cantato ogni canzone, letto e scritto ogni libro, combattuto ogni guerra, compiuto ogni viaggio, arredato ogni casa, inventato e poi smontato ogni idea... e pretendere, in questo mondo usato, di sentirvi esclamare “che bello!”, di vedervi proseguire entusiasti lungo strade già consumate da milioni di passi, questo no, non ce lo volete – potete, dovete – concedere. Il poco che riuscite a rubare a un mondo già saccheggiato, ve lo tenete stretto. Non ce lo dite, “questo mi piace”, per paura che sia già piaciuto anche a noi. Che vi venga rubato anche quello.) “
Ragazzo in sala d'aspetto (lo sdraiato)

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